Sui cellulari dei parlamentari di Fratelli d’Italia è arrivato il messaggio con l’ordine di partito: «Tutti presenti in Aula», martedì prossimo, quando il Parlamento si riunirà in seduta comune per eleggere i quattro giudici mancanti della Corte costituzionale. Segno che l’accordo è stato chiuso, dopo mesi e mesi di fumate nere: 2 giudici saranno espressione della maggioranza, indicati da Fratelli d’Italia e Forza Italia, 1 giudice dovrà essere indipendente, in quota Quirinale, mentre l’ultimo membro della Consulta verrà espresso dal principale partito d’opposizione, il Pd. Esclusa dalla spartizione la Lega, perché può già contare sul presidente del Consiglio superiore di magistratura, Fabio Pinelli.
‘Siamo consapevoli di quanto sia importante e cercheremo di procedere spediti, non dipende solo da noi, abbiamo già avviato interlocuzioni con le opposizioni’, ha detto la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nella conferenza stampa di inizio anno rispondendo a una domanda sullo stallo nella elezione dei giudici della Corte Costituzionale di nomina parlamentare: “Non si è arrivati al risultato perchè all’inizio c’era solo un unico giudice da eleggere – ha spiegato la premier – la maggioranza ha tentato di eleggerlo, l’opposizione ha fatto l’Aventino. Ora sono quattro i giudici da eleggere e questo presumo renderà più facile trovare una soluzione anche con le opposizioni”.
Nel giorno in cui il premier Giorgia Meloni apre all’accordo con l’opposizione sui quattro giudici della Corte costituzionale, nell’accordo c’è e reggerà fino al 14 tanto che il presidente facente funzioni Giovanni Amoroso ha spostato la seduta della Consulta che deve decidere sull’ammissibilità dei referendum abrogativi sull’Autonomia differenziata prevista per il giorno prima. E’ il segnale che i giochi sono fatti.
Servono i tre quindi dell’Aula, quindi 363 voti. La maggioranza non è autosufficiente, ma i ripensamenti fanno parte del gioco, soprattutto se a cambiare idea è il principale partito d’opposizione, che finora ha risposto con un mezzo Aventino e le barricate in Aula pur di non assecondare le decisioni del premier, che alla Consulta vuole il suo consigliere giuridico Francesco Saverio Marini, figlio d’arte dell’ex presidente della Corte costituzionale Annibale e padre a sua volta della riforma del premierato, tanto osteggiata dall’opposizione.
Il consigliere giuridico di Elly Schlein Andrea Pertici, nemico giurato dell’autonomia differenziata, è dato in risalita nonostante i bookmakers al Nazareno diano ancora per fatta la scelta più «istituzionale» di Massimo Luciani, con peccatucci sorvolati per aver difeso le prerogative parlamentari di Umberto Bossi nel pronunciare la frase «col Tricolore mi pulisco il cu…» detta nel 1997 dal Senatùr durante una kermesse elettorale nel Comasco. Come legale di Montecitorio Luciani rappresentò invano davanti ad Annibale Marini le ragioni con cui il Parlamento aveva deciso di assoggettare il turpiloquio a semplice boutade politica, ma l’allora presidente non si fece incantare dalla generica «insindacabilità di gruppo» per il Carroccio che, secondo il costituzionalista che il Pd vuole mandare alla Consulta, si estendeva a tutti i leghisti e alle loro colorite espressioni ingiuriose pronunciate dentro e fuori l’Aula. Bossi era stato condannato dal Tribunale di Como, sezione distaccata di Cantù, del reato previsto dall’articolo 292 del codice penale, la Camera aveva inutilmente impugnato la condanna pendente davanti alla Corte d’appello di Milano, seconda sezione penale, fino a quando Marini padre non sentenziò che il 21 giugno 2006 come «l’uso del turpiloquio» non faccia parte «del modo di esercizio delle funzioni parlamentari». Quella figuraccia è uno scheletro nell’armadio di Luciani che rischia di costargli lo scranno alla Consulta.
I problemi si incontrano nella scelta del giudice «indipendente» e, nelle ore più recenti, si è ingarbugliata anche la candidatura in quota Forza Italia. Il nome forte dei forzisti era quello del viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, ma ci sono molte ragioni che hanno portato il leader Antonio Tajani a ripensare quella scelta: preferirebbe evitare sostituzioni di membri del governo e soprattutto – visto che Sisto era stato eletto in Senato nel collegio uninominale di Bari – non si vuole andare a nuove elezioni a Bari per la sua sostituzione, perché, temono nel partito, il Pd candiderebbe Michele Emiliano e vincerebbe a mani basse. In seconda battuta, girava il nome di Pierantonio Zanettin, capogruppo di FI in commissione Giustizia in Senato, ma Tajani, per non provocare gelosie e screzi interni, ha preferito tenere fuori anche il suo nome. Ora si sta virando con forza sul nome di una donna.
In vantaggio, in questo momento, c’è Valeria Mastroiacovo, avvocata tributarista e dal 2022 assistente del giudice costituzionale Luca Antonini. In partita, seppur più defilata, c’è anche l’avvocata generale dello Stato Gabriella Palmieri Sandulli, un profilo che non dispiace – tra l’altro – proprio a Forza Italia.