La canzone, universalmente riconosciuta come inno della Resistenza, di partigiano, avrebbe soltanto una parte del testo. “Bella Ciao” ha una storia confusa e delle origini ancora più difficoltose da tracciare, per quanto la sua valenza simbolica è sempre stata inequivocabile a tutti, anche oltre oceano.
Tradotta in più di 40 lingue, “Bella Ciao” è stata modificata, arrangiata, adattata ad altre culture ben prima che il gigante americano dello streaming decidesse di inserirla in una delle sue serie di punta, “La Casa di Carta” (dando modo ad una lunga serie di remix, spesso considerati sacrileghi dagli italiani, di affermarsi in tutto il mondo). Tra le tante versioni internazionali, vale la pena citare la canzone “lounge” del trio giapponese Tiki Tiki Bamboooos; l’arrangiamento più cupo con la voce di Skin; il tentativo di opporsi alla propaganda Trump di Marc Ribot e Tom Waits. La lingua diventa irrilevante davanti a quelle poche note inconfondibili: “Bella Ciao” è libertà e resistenza in tutto il mondo.
Eppure, i veri partigiani attestano di non aver mai sentito cantare la canzone durante la guerra. Giorgio Bocca, partigiano in Val Grana e in Val Maira, dichiara che il mito della canzone sarebbe “un’invenzione del Festival di Spoleto”. Nel 1964, il prestigioso palco del Festival dei Due Mondi è stato utilizzato per mettere in scena uno spettacolo intitolato proprio “Bella Ciao”, successivamente accusato di vilipendio alle forze armate. Lo scandalo del ’64, per quanto generato da un’altra canzone presente nella rappresentazione, ha dato modo alla prima versione ufficiale di “Bella Ciao”, incisa da Yves Montad nel ’62, di spopolare e diventare il fenomeno che tutti conosciamo.
Ma se “Bella Ciao” è un’invenzione del dopo guerra, da dove viene il nostro grido di libertà? Jacopo Tomatis, giornalista e musicologo, pur avendo dedicato un intero libro alla canzone più conosciuta d’Italia, dichiara che risalire alle origini di una brano dalla forte tradizione orale non solo è praticamente impossibile, ma anche poco sensato. L’unico fatto più o meno noto (data la scarsità di prove e documenti) è che, verso la fine della guerra, qualcuno della Brigata Maiella aveva cominciato a cantare dei versi di una canzone dalle origini sconosciute, probabilmente dalmate (una melodia simile era stata pubblicata nel 1919 dallo tzigano Mishka Ziganoff): quella canzone sarebbe poi diventata “Bella Ciao”.
Persino la collana Gallo Grande dell’Avanti, nel 1960, presenta il canto partigiano “O bella ciao” come derivato da “un’aria celebre della Grande Guerra, che raggiunse, in poco tempo, grande diffusione” quando, in realtà, non appare in nessun canzoniere precedente. Questa canzone non sarà quello che ci siamo sempre aspettati, ma ricorda che abbiamo una responsabilità. Come ha scritto (sperando che possa dirlo dal vivo, il prima possibile, in patria e a gran voce) Ilaria Salis: l’Italia deve schierarsi dal lato giusto della Storia.