Trump tra dazi ai prodotti cinesi e nearshoring con l’America Latina

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“La mia parola preferita è: dazi”. Con queste parole  Donald Trump ha fatto capire che la guerra commerciale contro la Cina, in caso di sua vittoria, diventerebbe più aspra,  con imposte sui prodotti cinesi,  priorità alle imprese domestiche, le quali però verrebbero di conseguenza svantaggiate nelle esportazioni verso l’Asia, per compensazione delle misure ostili. Uno scenario del genere favorirebbe per alcuni motivi   l’America Latina, che già beneficia (soprattutto il Messico) del nearshoring come riduzione dei costi. rispetto all’approvvigionamento locale. Il nearshoring permette di risparmiare sui costi delle risorse spostando le proprie attività in un Paese in prossimità in cui spese e oneri siano più contenuti; comunicazione: rispetto alle operazioni di più lunga distanza, la vicinanza geografica facilita la comunicazione tra le aziende e i propri team nearshore, conducendo a una migliore collaborazione, una maggiore efficienza e una riduzione degli errori; flessibilità: il nearshoring può anche offrire una maggiore flessibilità nell’approvvigionamento delle risorse, poiché di norma sarà possibile aumentare o diminuire le dimensioni dei team nearshore o gli approvvigionamenti dai partner di prossimità in modo più elastico; rapidità: se le attività di approvvigionamento vengono svolte in un Paese vicino, i tempi di consegna dei prodotti e dei servizi sono generalmente più rapidi, generando un vantaggio significativo per le aziende che operano in settori competitivi; qualità: rispetto all’approvvigionamento da Paesi lontani, di norma i Paesi vicini riescono a garantire una maggiore qualità per molte tecnologie di base e avanzate. È anche possibile effettuare un controllo qualitativo più costante, migliorando così il livello di efficienza complessivo della fornitura;accesso a nuovi mercati: il nearshoring può anche aiutare le aziende a penetrare su nuovi mercati nei Paesi vicini, conducendo a una potenziale crescita delle vendite e a una maggiore redditività.

La soia, l’oro del Brasile e l’export verso la Cina

Sotto la presidenza Trump infatti l’export dei prodotti agroalimentari statunitensi verso la Cina, primo mercato per domanda, ha subito una battuta d’arresto. Basterebbe l’esempio della soia, una delle commidities agricole più richieste da Pechino: nel 2016, prima che il tycoon assumesse l’incarico di presidente, gli Stati Uniti vendevano al gigante asiatico 36,1 milioni di tonnellate di soia. Nel 2018, quando cioè durante la presidenza Trump si accentuò lo scontro commerciale, il dato scese a 8,2 milioni, meno di un quarto rispetto a due anni prima.

Chi ne approfittò, già all’epoca? Il Sudamerica e in particolare il Brasile, che infatti è tornato nel 2022 ad essere il primo partner commerciale della Cina e che oggi è il primo produttore mondiale di ben 10 materie prime ad uso alimentare: in ordine sparso soia appunto, zucchero, caffè, carne bovina, mais, farina di soia, carne di pollo, tabacco, cellulosa e succo d’arancia.

Nel 2016 il Brasile esportava verso Pechino più soia degli Usa ma di poco, 38,6 milioni di tonnellate, ma due anni dopo il dato è quasi raddoppiato a 74,5 milioni di tonnellate. Praticamente, il Brasile negli anni della prima esperienza di Trump alla Casa Bianca è arrivato ad esportare quasi dieci volte più soia degli Stati Uniti, e ancora oggi ne trae beneficio, con i nordamericani che non hanno più riconquistato quel mercato, nemmeno con Joe Biden.

Ecco perché il Brasile tifa Trump

Complessivamente, l’agrobusiness americano ha comunque retto, crescendo nell’insieme da 140 miliardi di dollari esportati nel 2016 a 174 miliardi l’anno scorso, con un deficit di 21 miliardi nella bilancia commerciale del settore. Nello stesso periodo, il Brasile ha raddoppiato il proprio export da 85 miliardi a 167 miliardi di dollari, facendo volare la bilancia commerciale agroalimentare in positivo di ben 150 miliardi. Un motivo più che valido per “tifare” Trump, se si pensa che tutto il continente latinoamericano e non solo il Brasile è ricco di materie prime, alimentari ma anche energetiche e “critiche”: si pensi all’Argentina che già fu primo esportatore mondiale di soia, al Cile e alla Bolivia che possiedono il preziosissimo litio, all’oro, allo stesso petrolio. Del resto molti Paesi hanno ormai scelto di privilegiare l’asse con la Cina, al punto che un accordo tra Mercosur e Pechino è oggi considerato più conveniente e più urgente rispetto a quello, in stallo, con l’Unione europea.

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