Test Medicina. Da ‘passo storico’ a ‘flop annunciato’: le criticità della riforma Bernini

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Presentata come un “passo storico” dalla Ministra dell’Università Anna Maria Bernini, la riforma che elimina il test di ingresso a Medicina, a partire dall’anno accademico 2025-2026, rischia di trasformarsi in ‘buco nell’acqua’ e per una volta mette d’accordo docenti e studenti universitari. “Senza risorse adeguate, la riforma rischia di compromettere la qualità dell’insegnamento”. “La riforma rischia di trasformare ogni esame in una gara, aumentando lo stress e la pressione psicologica”. Stefano Marini, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia di Roma Tor Vergata e Antonio Infante, rappresentante nel Consiglio degli studenti dell’ateneo capitolino, la pensano, sostanzialmente, allo stesso modo. Così come è stata ‘concepita’ questa riforma rischia di trasformarsi in un boomerang per docenti e studenti, è il trait d’union delle loro parole. Le criticità evidenziate già prima della sua applicazione pratica, sollevano dubbi sulla sua efficacia e sulla sua applicazione. La scelta di aumentare i posti disponibili per Medicina, per colmare la carenza di medici nel sistema sanitario italiano, potrebbe sortire l’effetto contrario: entro il 2030 ci saranno, sicuramente, più laureati in medicina ma si corre il rischio di non colmare le lacune oggi esistenti nel sistema sanitario nazionale. Questa riforma non incide, senza le opportune modifiche, solo per fare un esempio, sulla chirurgia d’urgenza e l’emergenza d’urgenza, oggi al collasso. Mancano medici in questi settori e la riforma non entra nel merito del problema: gli ospedali non riescono ad affrontare le criticità dei pronti soccorso e questa riforma non accende alcuna speranza per il futuro. Il tema è semplice: questi settori sanitari non sano ritenuti attrattivi per i laureati in medicina e i posti annualmente messi a bando per l’accesso delle scuole di specializzazione spesso restano semi vuoti. Nella riforma non sembra esserci traccia di attrattività verso questi comparti che rappresentano l’ossatura del sistema sanitario italiano. E’ forse mancato il coraggio che serviva per varare una riforma organica del sistema che parte, giustamente, proprio dall’Università. Tanti, dunque, restano i nodi irrisolti dalla riforma ‘Bernini’.

La selezione: incognite e disparità. Uno dei punti più discussi riguarda la graduatoria nazionale che verrà stilata alla fine del primo semestre. La valutazione degli studenti si baserà sugli esami svolti in questo periodo, ma il metodo di selezione è ancora avvolto da una pericolosa vaghezza. Al momento, non è chiaro se e come verrà garantita l’equità tra atenei con diverse modalità d’insegnamento e livelli di difficoltà negli esami. Gli esperti temono che queste differenze tra università possano generare ingiustizie, favorendo alcuni studenti e penalizzandone altri, con un impatto negativo sulla qualità della graduatoria nazionale.

Un’altra questione riguarda i criteri che saranno ‘utilizzati’ per valutare casi specifici in cui studenti con risultati diversi in termini di numero di esami e voti siano messi a confronto. Ad esempio, se uno studente riesce a sostenere cinque esami ottenendo tutti 30, mentre un altro ne completa sei con una media di 20, come si valuterà un caso del genere? È giusto che lo studente con una media più alta ma con meno esami venga penalizzato rispetto a chi ha sostenuto più esami con voti inferiori? La mancanza di criteri chiari in situazioni come questa potrebbe aprire facilmente la strada a ricorsi legali da parte degli studenti esclusi, alimentando ulteriori conflitti e ritardi nel processo di selezione. L’incertezza su come verranno stabiliti i criteri finali di valutazione lascia spazio a dubbi legittimi, che potrebbero tradursi in numerose contestazioni.

Il rischio di sovraccarico psicologico. L’idea di basare l’intera selezione sugli esami del primo semestre mette una pressione enorme sugli studenti: in un periodo così breve saranno costretti ad adattarsi velocemente a un ambiente accademico impegnativo, vivendo quotidianamente l’incubo di un’esclusione che dipenderà solo da questi primi risultati. Le materie del primo semestre non riguarderanno solo la medicina, ma anche altre aree come Veterinaria e Farmacia. Questo solleva ulteriori domande: che tipo di anatomia sarà richiesto agli studenti? Che tipo di chimica? Saranno sufficienti competenze generiche o serviranno conoscenze più specifiche per ogni ambito? Inoltre, per chi non dovesse accedere al secondo semestre, i crediti accumulati durante il primo semestre potranno essere utilizzati per iscriversi ad altri corsi di laurea, come indicato dalla riforma, permettendo agli studenti di non perdere completamente l’anno accademico. Tuttavia, il sovraccarico di lavoro e il sovraccarico di ansia rischiano di portare molti giovani a non esprimere il loro vero potenziale, mettendo sotto stress non solo gli studenti ma anche il corpo docente, chiamato a gestire una mole di lavoro molto superiore per seguire una quantità di iscritti senza precedenti.

Le università sono pronte? Dal punto di vista logistico, la riforma richiederà agli atenei di gestire numeri massicci di studenti nei primi sei mesi. Le stime suggeriscono che le università italiane dovranno essere pronte ad accogliere tra i 50.000 e i 60.000 iscritti nel primo semestre, prima che una selezione drastica riduca questo numero. Oggi molti atenei già faticano a gestire le attuali classi, in alcune facoltà, le aule sono sovraffollate e il rapporto tra studenti e docenti è già critico. La capacità di garantire un insegnamento di qualità con una tale pressione numerica è messa in discussione, e vi è il rischio di compromettere la formazione stessa fin dai primi mesi.

La riforma sull’accesso a Medicina, sebbene introduca importanti novità, solleva numerosi interrogativi. Il successo della riforma, quindi, dipenderà dalla capacità di rispondere a queste domande prima che il sistema, già in crisi, possa definitivamente collassare.

Valentina Alvaro

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