Negli ultimi decenni, la gestione dei flussi migratori è diventata una delle principali sfide per i governi europei. In questo contesto, la definizione di “paese sicuro” ha assunto una rilevanza fondamentale a livello normativo e nell’ambito delle politiche migratorie. Ma cosa significa esattamente “paese sicuro”? Il concetto di paese sicuro è disciplinato sempre dalla Direttiva 2013/32/UE, in particolare dagli articoli 36 e 37, i quali stabiliscono i criteri che gli Stati membri devono utilizzare per stilare l’elenco dei paesi di origine sicuri. Tali criteri si basano principalmente sull’esistenza di un sistema democratico, sul rispetto delle libertà fondamentali e sull’assenza di persecuzioni o torture. La Direttiva prevede anche la possibilità di aggiornare e modificare periodicamente questo elenco.Per i richiedenti asilo provenienti da paesi inclusi in questa lista, è previsto un esame prioritario della domanda di asilo e, salvo eccezioni motivate, il rigetto in tempi brevi. Tuttavia, è possibile presentare prove individuali che dimostrino un rischio concreto, anche per i cittadini di paesi sicuri, e in tal caso l’istanza verrà valutata con la procedura standard.L’applicazione della procedura accelerata (articolo 31(8) della Direttiva UE 2013/32) e del concetto di paese sicuro ha sollevato dibattiti, specie in merito ai rischi di una valutazione superficiale delle domande di protezione, in quanto la rapidità del processo potrebbe compromettere un esame approfondito. Tuttavia, queste misure sono ritenute essenziali per gestire i flussi migratori in modo organizzato, garantendo tempi certi e più rapidi per i richiedenti, con l’obiettivo di riservare risorse e attenzioni maggiori ai casi più complessi.Il concetto di “paese di origine sicuro” implica che un determinato Stato sia considerato idoneo a garantire ai propri cittadini sicurezza e rispetto dei diritti umani fondamentali, senza rischio di persecuzioni o violenze indiscriminate. Le domande di protezione provenienti da richiedenti di paesi sicuri sono spesso sottoposte a procedura accelerata, salvo eccezioni che il richiedente può dimostrareIn Italia, il concetto di paese sicuro è disciplinato dal D.Lgs. 25/2008 (art. 2-bis), che recepisce la normativa europea e prevede l’adozione di una lista dei paesi sicuri a livello nazionale. Questo elenco, stilato e aggiornato con decreto del Ministero dell’Interno (a breve con l’introduzione del D.l in corso di pubblicazione con atti aventi forza di Legge), tiene conto dei criteri stabiliti dalla Direttiva 2013/32/UE e viene sottoposto a revisione periodica, anche alla luce di eventuali cambiamenti della situazione nei singoli paesi.Più precisamente, il Decreto Legge 23 ottobre 2024, n. 158 Disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale., prevede che l’elenco dei Paesi di origine sicuri, debba essere aggiornato periodicamente con atto avente forza di legge ed è notificato alla Commissione europea». Ai fini dell’aggiornamento dell’elenco, il Consiglio dei Ministri delibera, entro il 15 gennaio di ciascun anno, una relazione, nella quale, compatibilmente con le preminenti esigenze di sicurezza e di continuità delle relazioni internazionali, riferisce sulla situazione dei Paesi inclusi nell’elenco e di quelli dei quali intende promuovere l’inclusione.La compatibilità della normativa interna non solo con le norme della Direttiva “Procedure” che disciplinano la nozione e la designazione dei Paesi sicuri (artt. 36, 37 dir. 2013/32/UE), ma anche con il diritto al ricorso effettivo (art. 46 dir. 2013/32/UE), appare dunque in discussione dalle caratteristiche della procedura accelerata non adatte all’accertamento di simili situazioni di persecuzione.Al riguardo, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 4 ottobre 2024, si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale del Tribunale regionale di Brno (causa C- 406/2022) ha affermato che l’articolo 37 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione, enunciate nell’allegato I di tale direttiva.Al riguardo, è opportuno osservare che Corte Europea Dei Diritti dell’Uomo 21 novembre 2019, Ilias and Ahmed c. Ungheria, ha accertato la violazione dell’art. 3 della CEDU da parte dell’Ungheria, le cui autorità avevano rigettato la domanda di protezione di due cittadini bengalesi espulsi verso la Serbia, sul semplice presupposto che tale Stato era stato incluso in un elenco governativo sui Paesi sicuri, senza compiere una valutazione seria e approfondita del caso specifico e senza preoccuparsi degli effetti di un respingimento a catena verso altri Stati.La legge deve rispettare le fonti gerarchicamente superiore, come la Costituzione e la normativa dell’Unione Europea, l’art 38 della Direttiva 2013/32/UE prevede la necessità di una verifica della effettiva sicurezza del Paese da parte del giudice in base ai criteri determinati, tanto più che il Regolamento il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 maggio 2024, n. 2024/1348/UE, che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale dell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE e, in particolare, l’articolo 61, paragrafo 2 secondo cui «La designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro a livello sia dell’Unione che nazionale può essere effettuata con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili» potrà trovare nel caso applicazione a partire dal 12 giugno 2026.
Paolo Iafrate