Migranti: non solo numeri

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Secondo il Dossier Statistico Immigrazione (realizzato dal Centro Studi e Ricerche IDOS in collaborazione con il Centro Studi Confronti e l’Istituto di Studi Politici S. Pio V) presentato il 30 ottobre 2024 da oltre tre decenni, la percentuale di migranti internazionali nel mondo si mantiene stabile attorno al 3% della popolazione globale, anche se il numero effettivo è in costante aumento. Nel 2023, circa 300 milioni di persone risiedevano in un Paese diverso da quello di nascita, rappresentando il 3,6% della popolazione mondiale. Di questi, 183 milioni possedevano una cittadinanza straniera (2,3%). L’immigrazione internazionale continua così a essere un fenomeno strutturale, capace di influenzare le dinamiche demografiche e socioeconomiche globali.Entro il 2050, si prevede che la popolazione mondiale crescerà di quasi 1,6 miliardi, con un incremento di circa 859 milioni di persone in età lavorativa. Tuttavia, questo aumento demografico sarà distribuito in modo disomogeneo, con una riduzione di forza lavoro nei Paesi sviluppati e un aumento nei Paesi in via di sviluppo. In questo scenario, le migrazioni potrebbero svolgere un ruolo essenziale nel compensare il declino della forza lavoro nelle economie avanzate, contribuendo a mantenere un equilibrio occupazionale senza il quale sarebbero necessari drastici tagli ai posti di lavoro nei Paesi ricchi e significativi investimenti in quelli poveri.L’incidenza dei migranti internazionali si attesta intorno al 3% della popolazione mondiale almeno dal 1990. Nel 2023 circa 300 milioni di persone risiedono in un Paese diverso da quello di nascita (3,6% della popolazione planetaria), mentre 183 milioni possiedono effettivamente una cittadinanza straniera (2,3%). Nello stesso anno il saldo dei flussi migratori globali è stato positivo per i Paesi del Nord del mondo (+2 milioni di persone). Entro il 2050 la popolazione mondiale passerà da 8,1 a 9,7 miliardi, con un incremento di circa 859 milioni di persone in età lavorativa. Ma questa crescita sarà distribuita in modo disomogeneo, con un calo di forza lavoro nei Paesi sviluppati e un innalzamento nei Paesi in via di sviluppo. Senza migrazioni, mantenere l’equilibrio occupazionale richiederebbe di eliminare posti di lavoro nei Paesi ricchi e crearne molti di più nei Paesi poveri. Nel frattempo, il numero di migranti forzati è aumentato notevolmente, passando da 20 milioni del 2000 a 117,3 milioni di fine 2023, di cui 68,3 milioni sono sfollati interni, 38,5 milioni sono richiedenti asilo e titolari di protezione, 6 milioni sono rifugiati palestinesi del 1948 e loro discendenti sotto mandato di Unrwa (di cui 1,2 milioni sono abitanti di Gaza, che le fonti conteggiano anche come sfollati interni) e 5,8 milioni sono venezuelani sfollati all’estero senza possibilità di richiedere asilo per l’entità massiva del flusso. Inoltre, a fine anno erano 7,7 milioni gli sfollati interni per disastri ambientali, non ricompresi tra i migranti forzati.Di questi ultimi la Siria è il principale Paese di origine, con 13,8 milioni tra sfollati interni e all’estero, seguita da Afghanistan (10,9 milioni) e Sudan (10,8 milioni). Quarta è l’Ucraina, che a fine 2023 conta 9,7 milioni di profughi, di cui quasi 4,3 milioni hanno ottenuto protezione temporanea nell’Ue.Nel 2023 nel mondo sono state accolte oltre 2,8 milioni di richieste di asilo, di cui 1,7 milioni con riconoscimento dello status di rifugiato, e i tempi di attesa hanno superato in media i 400 giorni.Oltre il 70% dei migranti forzati proviene da Paesi in crisi alimentare, fattore scatenante o concausa di conflitti sanguinosi. Nel 2023 la Fao stima 733 milioni di persone che nel mondo soffrono la fame, numero che sale a 2,3 miliardi includendo chi ha una sicurezza alimentare incerta.La diseguale distribuzione delle risorse continua a essere tra le principali cause delle migrazioni: il Nord del mondo, con solo 1,4 miliardi di abitanti (un sesto della popolazione globale), detiene quasi la metà del Pil mondiale, mentre al Sud, con 6,7 miliardi di abitanti, spetta il restante 53,4% e un Pil pro capite 4 volte inferiore rispetto al Nord (14.700 vs 59.800 dollari Usa).Un ruolo compensatorio è svolto dalle rimesse inviate nei Paesi a basso e medio reddito, che nel 2023 hanno raggiunto i 656 miliardi di dollari Usa, contribuendo a oltre il 2% del Pil dei Paesi di origine, considerando anche i canali informali. In Italia le rimesse inviate dai migranti ammontano a 8,2 miliardi di euro (-0,4%: primo calo dopo quasi un decennio di continua crescita).A livello di cooperazione internazionale, il Piano Mattei mira a instaurare un nuovo modello di partenariato con i Paesi africani, basato sulla pari dignità e il reciproco beneficio. Tuttavia, alcuni temono che questo piano possa puntare maggiormente a frenare i flussi migratori verso l’Europa e a garantire sicurezza energetica piuttosto che a promuovere un effettivo sviluppo socio-economico nei Paesi di origine.A inizio 2023 i cittadini stranieri regolarmente residenti nell’Ue sono 41,4 milioni (9,2% della popolazione), di cui 14 milioni provenienti da Paesi dell’Unione. Oltre i due terzi risiedono in Germania (12,3 milioni), Spagna (6,1 milioni), Francia (5,6 milioni) e Italia (5,1 milioni). Considerando anche i nati all’estero e i naturalizzati, le persone con background migratorio salgono a 60 milioni.Infine, preoccupa il progressivo calo degli studenti stranieri all’elevarsi del livello formativo. Nell’a.s. 2022/2023, a fronte di un’incidenza complessiva dell’11,2% sull’intera popolazione scolastica raggiunta dai 914.860 alunni stranieri in Italia (+42.500 e +4,9% rispetto all’anno precedente) – di cui il 65,4% (598.745) nato in Italia – essi passano dal 13,3% degli iscritti nella scuola primaria (330.143) e dal 12,5% nella scuola dell’infanzia (161.238), all’11,7% nella secondaria di I grado (195.800) e all’8,4% nelle superiori (227.700), dove in 2 casi su 3 (67,1%) scelgono istituti tecnici o professionali (a fronte del 46,4% degli italiani).Le sfide poste dalle migrazioni richiedono un ripensamento delle politiche globali e nazionali. Le popolazioni di origine straniera rappresentano un arricchimento per il tessuto sociale, culturale ed economico dei Paesi ospitanti, e appare sempre più urgente superare ideologie e strumentalizzazioni a favore di politiche che valorizzino una società aperta e inclusiva. Promuovere un dialogo costruttivo e politiche di sviluppo condivise potrebbe essere la chiave per affrontare le sfide del futuro in un mondo sempre più interconnesso e interdipendente.

Paolo Iafrate

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