Inghilterra e Galles hanno introdotto il divieto, per le associazioni pro-vita, di distribuire volantini, protestare o pregare nel raggio di 150 metri da qualsiasi clinica che effettui interruzioni volontarie di gravidanza. Lo scopo è quello di assicurare l’accesso all’insieme dei servizi sanitari nazionali, tra cui l’aborto, evitando alla cittadina il rischio incorrere in molestie, immagini esageratamente grafiche o qualsiasi atto di protesta giudicatorio che potrebbe influenzarla nell’esercizio di un suo diritto. Due Paesi che si uniscono alle misure già adottate in Germania dal luglio scorso: multe fino a 5000 euro per tutte le “molestie da marciapiede” che avvengono nel raggio di 100 metri dalle cliniche.
Ma se a Berlino Katja Mast, responsabile parlamentare del Spd, dichiara “c’è solo una parte da cui si può stare in questo scontro, ed è quella delle donne colpite”, in Italia lo scontro si tiene direttamente dentro ai consultori dal 23 aprile scorso, grazie a fondi assicurati dallo Stato stesso. E mentre la Francia inserisce l’aborto nella sua Costituzione (niente di meno); mentre l’Europa vota, anche se in maniera simbolica, a favore dell’ingresso del diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali Ue, l’Italia è che convinta che “se l’aborto è l’unica scelta, non c’è libertà” e assicura la completa applicazione della Legge 194 grazie all’aiuto di chi, quella legge, la osteggia da sempre.
Gli unici Paesi europei che non garantiscono il diritto all’aborto sono Malta, dove è considerato illegale in ogni forma e per ogni ragione, compresa la salute della madre o del feto e la Polonia, che assicura l’aborto legale solo in caso di “violenza, minaccia alla vita della madre o gravi danni al feto”. Gli unici due Paesi, non a caso, ad aver osteggiato l’ingresso del diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali; mentre, per quanto la pratica sia ancora legale, le percentuali di obiettori in Italia rimangono altissime.