Duello verbale tra Meloni e Schlein, tra ‘sinistra al caviale’ e ‘olio di ricino’: ‘Aridatece Fortebraccio!!!’

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Disfida verbale tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein, tra sinistra al caviale contro olio di ricino. La premier da Budapest e la segretaria Pd da piazza di Porta Pia, a Roma, assieme ai sindacati del trasporto pubblico locale. Lo sciopero da il via al duello verbale, con la premier che innesca la sfida a distanza: “Elly Schlein ha detto che io…come era la parola? ‘Svilisco i diritti sindacali’ perché, in una trasmissione radiofonica diciamo leggera, ho risposto a un sms in modo leggero”.

Il riferimento della premier è alla trasmissione Un Giorno da Pecora, su Radio Uno e, con la ‘complicità” del deputato di Fratelli d’Italia, Marco Osnato, Meloni fa sapere che, nonostante sia febbricitante, si trova nella capitale ungherese. E aggiunge: “Dato che non ho particolari diritti sindacali”. Una battuta che, alla luce delle polemiche che hanno infiammato la vigilia dello sciopero, è suonata come un colpo di cannone alle orecchie dell’opposizione.

“Chiaramente citavo il tema dei diritti sindacali”, spiega la premier ai giornalisti presenti a Budapest: “Non so cosa si intenda per ‘svilire i diritti sindacali’ che questo governo difende molto meglio della sinistra al caviale”, è l’affondo della presidente del consiglio. La segretaria incassa a fatica: per chi come lei si è data la missione di riportare il Pd fra la gente, a cominciare dai luoghi di lavoro, l’accusa di incarnare la ‘gauche caviar’ è difficile da digerire.

Arriva la risposta, tagliente, della Schlein: “Io di caviale non ne ho mai mangiato, ma nemmeno posso sopportare che i lavoratori vengano purgati con olio di ricino, quindi continueremo a stare al loro fianco”. Il riferimento è alle purghe che le squadracce fasciste somministravano agli avversari politici e, indirettamente, alle radici politiche del partito di Giorgia Meloni.

In Italia, durante il regime fascista e il suo avvento, l’olio di ricino è stato utilizzato dagli squadristi e dalle camicie nere. Le squadre fasciste sequestravano gli avversari politici e li costringevano a bere una grande quantità di olio di ricino, in quella che veniva chiamata la “purga del sovversivo”, causando al malcapitato una violenta scarica di diarrea: la vittima veniva costretta a defecarsi addosso, imbrattando in modo evidente i suoi pantaloni (spesso veniva legata una corda ai calzoni delle vittime affinché non potessero tentare di sfilarseli durante gli attacchi di diarrea). Successivamente veniva costretta a girare in pubblico in quelle umilianti condizioni, con le camicie nere che lo schernivano. E molto spesso, se era sposato, il malcapitato veniva mostrato in quelle condizioni indignitose di fronte alla propria moglie, rendendo l’esperienza ancora più degradante e umiliante. Il messaggio simbolico di questo gesto, legato a quell’epoca storica, era chiaro: “l’avversario se la fa addosso, quindi non è un vero uomo”. All’epoca inoltre non era facile lavare quotidianamente i vestiti, e ciò rendeva ancora più traumatica la vicenda. Il fine ultimo di questa azione era quindi quello di umiliare l’avversario e di ridicolizzarlo. Sembrerebbe che l’idea dell’utilizzo dell’olio di ricino come strumento di tortura sia stata di Gabriele D’Annunzio, ma si trovano riferimenti anche nella corrispondenza dal fronte degli ufficiali italiani, i quali utilizzavano questo sistema come punizione per la truppa poco disciplinata.

Anche l’espressione “sinistra al caviale” usata dalla premier ha un risvolto storico e veniva usata, da più di cento anni, ironicamente, per definire l’élite progressista, con uno standard di vita molto elevato, che strideva con lo stile di dei lavoratori. In Gran Bretagna i primi usi dell’espressione “champagne socialist” si ritrovano già alla fine del XIX secolo, più di recente ne fu bersaglio il movimento new labour che portò Tony Blair al potere. Una variante sul tema, in Australia e Nuova Zelanda, è “socialista chardonnay” poiché’ in Oceania, in passato, lo Chardonnay era considerato un vino solo per l’upper class.

In italia, invece, negli ultimi decenni è esploso l’utilizzo dell’espressione inglese “radical chic”, spesso usato da politici o elettori di centrodestra per attaccare gli intellettuali di centrosinistra. Dai primi anni del 2000 è in uso il termine “sinistra al caviale” (rispolverato dalla premier): traduzione del francese “gauche caviar”. Per un esponente italiano storico della sinistra, Fausto Bertinotti, venne invece coniato dalla stampa l’appartenenza a quella che venne definita la sinistra in cachemire, espressione che derivava dall’uso ricercato del cachemire usato ‘dal Bertinotti’. O Massimo D’Alema, esponente del Pci-Pds-Ds su cui spesso si ironizzò per avere una barca, un bene che sembrava non consono all’appartenenza ad un partito di sinistra.

In verità, oggi, tra ‘sinistra al caviale’ ed ‘olio di ricino’ si avverte con forza ed intensità la mancanza di chi parlava con ironia, cultura e derisione, commentando quotidianamente i risvolti tragici e comici della vita politica. Parlo di Mario Melloni, noto anche con lo pseudonimo di Fortebraccio, giornalista e politico italiano. Il 12 dicembre 1967 iniziò a scrivere per l’Unità corsivi in prima pagina con lo pseudonimo di Fortebraccio (riferibile all’omonimo personaggio dell’Amleto di Shakespeare, anche se taluni lo considerano un ironico omaggio a Braccio da Montone, detto Fortebraccio, un capitano di ventura dell’Umbria medievale). L’idea del ‘nom de plume’, ‘nome di penna’ fu di Maurizio Ferrara, direttore del quotidiano e da anni suo amico. Da allora Fortebraccio firmò sino al 1982 un corsivo ogni giorno (tranne il lunedì e il periodo delle ferie) e un articolo più lungo la domenica.

Uomo colto, conversatore brillante con battute spesso umoristiche, nell’estate 1955 fu operato alle corde vocali per un tumore. bDi temperamento discreto e schivo, volle che della sua morte, avvenuta il 29 giugno 1989, fosse data notizia a esequie religiose avvenute. L’Unità titolò: “Fortebraccio se ne va con discrezione. Funerale cattolico, popolo rosso”.

Suoi obiettivi erano un po’ tutti i politici avversari (prima del mondo socialcomunista quando era democristiano e dirigeva Il Popolo, poi del mondo democristiano – e non solo quello – quando era diventato comunista e scriveva su l’Unità); col tempo prese di mira, firmandosi come Fortebraccio, anche i direttori dei grandi quotidiani (da Mario Missiroli a Giovanni Spadolini), i protagonisti della scena pubblica legati al potere e ai centri d’affari che ruotavano attorno al potere, gli industriali (affibbiò a Gianni Agnelli il soprannome di “avvocato Basetta”) e i ricchi, in definitiva tutti coloro che stavano dall’altra parte e che lui definiva lor signori; aggiungendo che nella maggior parte dei casi questi lor signori erano “magri, disinfettati e pallidi come una siringa”.

Da democristiano attaccò il partito di Togliatti, se la prese anche con Pietro Nenni, chiamò l’Unione Sovietica “nuovo Islam mongolico”. Da ex-democristiano e conoscitore dell’ambiente di Piazza del Gesù, risparmiò le frecciate più aspre verso quelli che più stimava tra gli ex-amici (Aldo Moro e Andreotti al quale riconosceva una robusta intelligenza, sferzando impietosamente gli altri: Fanfani, Donat-Cattin, Forlani, Piccoli, Rumor, Colombo. Ma anche Craxi, Malagodi, La Malfa e quasi tutti i socialdemocratici. Di sé diceva: «Preferisco essere un comunista settario piuttosto che un comunista liberale o, peggio ancora, socialdemocratico».

La scrittura elegante, lo stile sorvegliato e un lessico scelto con cura, uniti a un’ironia tagliente, talvolta anche “ferina e spietata”, lo fanno annoverare tra i padri della satira politica italiana.
Melloni sostenne una «lunga ma elegante polemica» con Indro Montanelli, direttore de Il Giornale, ed elzevirista con Controcorrente. In un corsivo, Melloni dettò per sé un singolare epitaffio in cui citava il suo rivale:

«Qui giace
Mario Melloni
(alias Fortebraccio)
che trascorse la vita
ad amare
Indro Montanelli
e non smise mai
di vergognarsene.»

(Fortebraccio)

Montanelli rispose con un elzeviro nella sua rubrica Controcorrente: «Purtroppo, devo avvertire Fortebraccio che anch’io ho preso le mie precauzioni iscrivendo fra le mie ultime volontà quella di essere sepolto accanto a lui. E come epitaffio mi contento di questo: “Vedi . lapide . accanto”».
I due erano divisi dall’appartenenza ad aree politiche contrapposte, ma uniti da un reciproco sentimento di stima e rispetto. Così Montanelli si espresse su di lui: «Era un avversario temibilissimo, ma leale e stimolante; un carattere umorale e imprevedibile, ma una coscienza tersa e sensibile. Come centometrista dei trafiletti, uno scattista come lui non lo vedremo più»

(Indro Montanelli)

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