Non una bocciatura ma un rimando a ‘settembre’. La legge sull’autonomia differenziata resta ma va corretta. E le correzioni richieste dalla Suprema Corte sono ‘sostanziali’ più che meramente formali. Con implicazioni politiche di non poco conto. La Corte costituzionale ha ritenuto “non fondata” la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie (n.86 del 2024), considerando, però,”illegittime” specifiche disposizioni dello testo legislativo che porta il nome del ministro Calderoli. Quindi sui rilievi posti dai ricorsi delle regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge. Ma, ed è un ma pesante, ravvisa l’incostituzionalità di ben sette profili di legge. I giudici sottolineano che la forma di Stato riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle Regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le Regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio. Quindi la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione non deve corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma deve avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. A tal fine, è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni. In questo quadro, l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini. La Corte ritiene incostituzionale la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola Regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà. Una frustata ai Lep che rappresentano il cuore ‘politico’ della riforma Calderoli. Ora la palla deve passare al Parlamento, che in sostanza ha il dovere/potere di intervenire e quindi anche colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle Regioni ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge.