E’ in libreria ‘Voarchadumia’, pubblicato da Idrovolante Edizioni, opera della giornalista e storica dell’arte Carla Isabella Elena Cace, che conduce i lettori in un viaggio coinvolgente che unisce mistero, storia e alchimia. Questo avvincente romanzo, ambientato su due piani temporali — un’indefinita contemporaneità romana e il XVI secolo a Venezia — esplora il profondo legame tra passato e presente attraverso gli occhi di due protagoniste femminili: Isabella e Loredana Tron.
Isabella, attraverso le pagine di un diario, rivela alla nipote Lea le esperienze vissute tramite l’ipnosi regressiva, che la convincono di aver vissuto una vita precedente nei panni di una figura storica straordinaria: Loredana Tron, la prima donna a diventare Maestro di un ordine alchemico, la Voarchadumia, operante nella Venezia del XVI secolo. In parallelo, il romanzo segue le vicende della stessa Loredana Tron, un personaggio enigmatico e potente, la cui esistenza è intrecciata a figure realmente esistite, riti occulti, simboli nascosti nelle opere di Tiziano e Giorgione, esperimenti estremi e la devastante Peste Nera che colpì Venezia. Il finale riserva una rivelazione sorprendente, che riannoda i fili tra passato e presente.
Con una narrazione avvolgente, Voarchadumia esplora l’universo segreto dell’alchimia, l’amore, il potere e l’eterna ricerca del significato profondo della vita. Il romanzo si distingue non solo per la ricchezza storica, ma anche per l’intreccio tra misticismo, arte e scienza, offrendo un’esperienza di lettura affascinante e senza tempo. Carla Isabella Elena Cace, giornalista, saggista e storica dell’arte, con questo libro conferma la sua passione per i misteri del passato, per l’arte, per Venezia, e la sua capacità di raccontare storie avvincenti che mescolano realtà e finzione. Voarchadumia è un romanzo che invita i lettori a riflettere sui grandi quesiti dell’esistenza umana, attraverso lo sguardo di due donne coraggiose e visionarie. Il volume è disponibile nelle librerie e negli store online.
Ho inaugurato il mese di novembre con l’acquisto di alcuni libri: ‘Hitler e Mussolini’, di Bruno Vespa, edito da Rai Libri per Mondatori; ‘Voarchadumia’, della giornalista e storica dell’arte Carla Isabella Elena Cace, edito da Idrovolante Edizioni.
Con molta felicità ho aperto il libro di Carla Cace sospendendo la lettura del volume di Vespa per motivazioni legate al font ed al carattere usato, molto piccolo e difficilmente leggibile. Naturalmente questa realtà di fatto può essere dovuta alla mia non più giovane età, ma resta comunque il fatto che la leggibilità di un testo è un argomento tutt’altro che banale. Il lettore deve essere in grado di leggere il libro instancabilmente, divorando pagine su pagine senza accorgersi del font usato. Se dopo due o tre pagine il tuo lettore si strofina gli occhi per la stanchezza o se deve avvicinare troppo le pagine al volto per riuscire a distinguere le parole, mollerà il libro dopo pochi minuti di lettura, probabilmente senza più riprenderlo in mano. Diventa chiara, dunque, l’importanza della leggibilità di un testo in tutte le sue sfumature di significato, la quale influisce molto sulla comprensione del testo. Naturalmente completerò, con il tempo necessario, la lettura di ‘Hitler e Mussolini’.
La copertina del libro della Cace è straordinariamente impattante e mostra una clessidra posta all’interno di un uroboro tenuto tra le mani di una Figlia di Ermete: l’Adepta, l’alchimista.
La clessidra è un antico simbolo del passare del tempo, che rappresenta la natura finita della vita e l’inevitabilità della morte. Sottolinea il flusso costante e unidirezionale dei momenti, fungendo da toccante promemoria della natura transitoria delle esperienze umane. La sabbia che scorre indica il ticchettio dei momenti, incapsulando le qualità effimere della vita e l’importanza di vivere nel presente. In un senso più ampio, la clessidra può simboleggiare l’equilibrio e la natura ciclica del mondo, con la sabbia che si sposta da una camera all’altra in movimento perpetuo. La clessidra simboleggia anche la pazienza e la consapevolezza che alcuni processi non possono essere affrettati; devono svolgersi nel loro tempo.
L’Uroboro è un simbolo antico e intrigante che ha affascinato culture e filosofi per secoli. Raffigurato come un serpente o un drago che si morde la coda, questo enigmatico simbolo rappresenta concetti fondamentali della vita e della natura. L’uroboro è uno dei simboli più antichi e misteriosi della storia dell’umanità. Lo troviamo in diverse civiltà, da quella egizia a quella greca, da quella nordica a quella indiana. La sua rappresentazione di serpente che si morde la coda, senza un inizio e senza una fine, suggerisce un ciclo eterno: apparentemente immobile, ma in eterno movimento. Il suo significato simbolico ha avuto molte interpretazioni, ma in particolar modo rappresenta il concetto di eternità, ciclicità e rinascita. Questa ciclicità può essere rivista nelle stagioni, nella vita e la morte, e persino nel ciclo dell’universo stesso: un’energia universale che si consuma e si rinnova di continuo.
La figura femminile che regge il tutto è una guida totemica che, vestita di nero, sprona a esplorare la parte più profonda dell’Essere e mostra l’importanza di lasciarsi andare nel fluire della vita che, con forza e indipendenza mostra il suo potere di donna. Il profilo del suo sguardo può essere pietrificante.
I tre colori prioritari raffigurati tra clessidra ed uroboro sono Nero, Bianco e Rosso che, senza scomodare i tre passaggi alchemici, rappresentano i lavori da compiere su noi stessi per ‘purificare il nero’ che è in noi, da sgrossare metodicamente capovolgendo, anche interamente, i nostri sistemi di vita.
Basterà pensare che parlare di alchimia è parlare di ‘grande opera’ e di ‘piccola opera’. La grande opera, è l’opera dei santi, leggi il superamento dei peccati capitali, che è modalità giusta e corretta per conquistare uno stato trasparente e cristallino, tale da consentirci di dialogare con l’Alto. ‘E’ vero senza menzogna, certo e verissimo, che ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare il miracolo della cosa unica’, recita la Tavola di Smeraldo di Ermete Trismegisto, dagli egizi riconosciuto nel dio Thot. Esso apparve per la prima volta in versione stampata nel De Alchemia di Johannes Petreius (1541). E poi: (…. Sale dalla Terra al Cielo e nuovamente discende in Terra e riceve la forza delle cose superiori e inferiori), certifica sempre la Tavola di Smeraldo.
Per chiudere la logica del ‘Nero, Bianco e Rosso’ basterà guardare una bandiera Templare, sempre conosciuti come i Custodi del Gral, e si vedrà una zona nera, posta in basso, contrapposta da una zona bianca, posta in alto, e collegate da una energia rossa che li collega. Da sottolineare che i Templari erano, tra l’altro, ospitalieri, che nel loro percorso, anche iniziatico, assistevano gli ammalati. Da considerare che nell’antico Egitto gli ‘usignoli’ erano iniziati con grandi capacità curative che ottenevano con l’intervento di energie preposte per questi scopi. Quello che ha importanza in ogni stato ‘evolutivo’ è l’importanza della ‘donazione’, e di null’altro, nei confronti del mondo con il quale ci si confronta. Il completamento del percorso alchemico è dato dalla conquista del ‘mercuriale’ che, fuor di ogni dubbio è concesso dall’Alto. Indispensabile la modalità operativa per portare il ‘mercuriale’ in alto. Se l’operazione viene effettuata in modo non corretto, avverte Kremmerz: ‘e tu morrai’. In pratica precipiterai nell’inferno…
Già nel Medioevo emersero ostilità verso gli alchimisti. Dante nella Divina Commedia li colloca tra i falsari (Inferno, XXIX, 109-139), mentre domenicani e francescani emanarono varie condanne a riguardo. Malgrado ciò l’alchimia e gli alchimisti hanno sempre riscosso nel passato, anche remoto, fascinazione e ostilità, suscitando interesse da parte, anche, dei religiosi, molti dei quali la praticarono. Dante, nella Divina Commedia, pone gli alchimisti all’inferno, tra i falsari. Bisogna tenere presente che i principi alchemici, nella loro pratica, hanno come risultato finale il trasformare il piombo in oro, ovviamente non fisico ma interiore, oro visto come capacità raggiunta di perfetto equilibrio personale. I processi alchemici si differenziano tra grande opera, realtà propria dei santi, e piccola opera che chiude il percorso. La grande opera presuppone il controllo e superamento dei peccati capitali. La piccola opera ha la necessità che venga dato il via da energie cristiche che, non viste, raggiungono l’operatore che riesce, se attento a portare il basso in alto, ritornando in contemporanea in basso. Una curiosità da citare, è data da Fulcanelli, poi irrintracciabile, che riuscì ‘praticamente’ a trasmutare il piombo in oro.
Carla Cace, autrice di ‘Voarchadumia’, ambienta la storia letteraria a Venezia, località molto amata dalla scrittrice. Il testo, verosimilmente, è ispirato dal sacerdote veneziano Giovanni Agostino Panteo, che nel 1518 pubblicò a Venezia l’Ars transmutationis metallicae, prima opera in materia a essere stampata in Italia, con il permesso del Consiglio dei Dieci, uno dei massimi organi di governo della Repubblica di Venezia dal 1310 fino alla sua caduta, avvenuta nel 1797, formato da dieci membri, che veniva eletto ogni anno dal Maggior Consiglio per sorvegliare sulla sicurezza della Repubblica, dedicato a Leone X. Nel 1530 veniva pubblicata un’altra sua opera, la Voarchadumia contra Alchimiam, che presenta la creazione del mondo come un processo alchemico e il lavoro dell’alchimista simile a quello di Dio: l’opera include anche una raccolta di ricette e 11 xilografie raffiguranti strumenti e pratiche metallurgiche. ‘Voarchadumia contra Alchimiam’, del sacerdote veneto Giovanni Augustino Pantheus (già il nome è significativo) l’Uno il Tutto, Pan Theus = Tutto Divino. Dedicata al Papa Leone X e al Doge Gritti: fu la prima opera che unì la Cabala all’Alchimia rifacendosi alla lingua Caldea, Ebraica, e alla lingua di Enoch cioè di Ermete. Fulcanelli terrà in grande considerazione il Pantheus, che usava un metodo per aumentare l’Oro mediante formule che lo condussero al successo. VOARCHADUMIA è composta da una parola Caldea che significa “Oro” e da una espressione Ebraica che significa “fuori dalle due Opere al Rosso” ovvero “ORO delle due cementazioni”. L’Opera è dedicata ai “Figli dei Saggi” cioè a coloro che “sanno leggere sotto la scorza”. Questo cappello al testo può essere utile come chiave d’ingresso al testo di Carla Cace.
Molto interessante è la tecnica di scrittura usata, in perfetta autonomia e ispirazione, da Carla Cace, che collega capitoli brevissimi e nominativi. Per coglierne il senso basterà pensare ad un esercizio di inspirazione ed espirazione. Immaginate la Cace, che in tutina nera che compie un esercizio yoga, sedendosi in terra, mani sulle ginocchia, mentre compie in perfetta serenità l’esercizio di respirazione. Inspirazione ed espirazione che creano brevissimi capitoli che con ingegno di scrittura saranno magicamente collegati con senso di unicità e di completezza.
Aldilà di tutto conseguendo la conquista di vette esoteriche, occultistiche, alchemiche, divenendo una quintessenza, che dir si voglia, si ha la possibilità di vedere le proprie esistenze precedenti così come, se lo si è scelto, si possono vedere le vite che chi è legato a te in ‘catena’, fatto salvo l’impegno di non intervenire nella vita in essere. Esiste poi una memoria akashica, con documentazioni e annali akashici, documenti akashici e simili, che parlano di una sorta di memoria cosmica, di natura eterica, che come un libro o una pellicola sensibile alla luce registra tutti gli eventi del mondo, come spiega Rudolf Steiner. Parliamo di uno spazio simbolico fatto di etere, situato macroscopicamente nell’Empireo, spazio in cui sono iscritte tutte le parole, le azioni, i pensieri dell’uomo, tutti gli esseri e gli eventi del mondo. Questo spazio, questo specchio magico, viene letto dagli iniziati che abbiano raggiunto un livello elevatissimo di perfezionamento, tanto da arrivare al punto di essere sottratti dagli obblighi legati alla reincarnazione di perfezionamento, che ritornano alle realtà terrestri in virtù del compimento di una missione che gli viene assegnata.
Carla Cace è una giornalista professionista, storica dell’arte, presidente dell’Associazione Nazionale Dalmata, incarichi istituzionali come portavoce del presidente della Regione Lazio.
PUBBLICAZIONI DELL’AUTRICE
“Giuseppe Lallich (1867-1953), dalla Dalmazia alla Roma di Villa Strohl-Fern”,- gennaio 2007, editore Palladino
“Foibe: martiri dimenticati”, co-autrice, gennaio 2008, editore Palladino
“Utopia – Volo – Modernità. Tullio Crali aeropittore futurista (1910 – 2000)”,catalogo della mostra, maggio 2008, editore Palladino
“Foibe: dalla tragedia all’esodo”, co-autrice, gennaio 2009, editore Palladino
“Agenda Cultura 2014”, co-autrice, dicembre 2013, editore Fergen
“Foibe ed Esodo. L’Italia negata”, febbraio 2014, editore Pagine (Finalista Premio Bancarella del confine orientale, 2014)
“Marò: le voci dei protagonisti”, giugno 2014, editore Pagine
“Magazzino 18. Le foto”, con prefazione di Simone Cristicchi e scritto a quattro mani con Jan Bernas,
‘Voarchadumia’, editore Idrovolante Edizioni, ottobre 2024
Roberto Cristiano