Trovare fossili in montagna non è così raro ma, contrariamente a quanto si possa pensare, il processo di fossilizzazione lo è: solo l’1% di tutte le specie, mai vissute sulla Terra, è diventato fossile, fatto che rende ancora più unico il ritrovamento di un intero ecosistema fossilizzato nel Parco delle Orobie Valtellinesi. A 3000 metri di quota, ghiaccio e neve si sono sciolti per scoprire un mondo indisturbato da circa 280 milioni di anni.
Nel tentativo di dare un contesto ai numeri: i dinosauri sono apparsi, sul nostro pianeta, circa 230 milioni di anni fa, per poi scomparire 165 milioni di anni dopo. La specie umana, in confronto, è giovanissima: abbiamo circa 4,5 milioni di anni. I fossili della Valtellina, quindi, sono vissuti prima dei dinosauri, precisamente nel Permiano, l’ultima parte dell’Era Paleozoica. Gli esperti hanno identificato tracce di tetrapodi ed invertebrati, ma anche orme di animali che si pensa raggiungessero i 2-3 metri di lunghezza. Nel complesso, ci sono 5 icnospecie (termine utilizzato quando non si hanno veri e propri scheletri da studiare, ma soltanto tracce nelle rocce) da analizzare approfonditamente, mentre alcuni reperti sono già stati esposti al Museo di Storia Naturale di Milano.
“Le impronte sono state impresse quando queste arenarie e argilliti erano ancora sabbie e fanghi intrisi d’acqua” spiega Ausonio Ronchi, geologo dell’Università di Pavia. L’acqua, infatti, permette di conservare gli organismi in attesa che processi geologici li inglobino nelle rocce per sempre, o fin quando, una fortunata escursionista come Claudia Steffensen, non li ritrovi. La grana finissima della sabbia che ha coperto tracce ed impronte ne ha conservato ogni dettaglio permettendo, al sito fossilifero, di distinguersi rispetto ad altri simili per la qualità di conservazione e le preziose informazioni contenute. La fotografia di un mondo protetto da moltissimi inverni che avremmo potuto perdere per sempre.