Il governo in Francia di Michel Barnier è caduto dopo solo tre mesi con una mozione di sfiducia dell’Assemblée Nationale. A sfavore del premier hanno votato 331 deputati su 574, evento questo che non si verificava in Francia dal 1962 quando ad essere sfiduciato era stato il governo di Georges Pompidou. Così come riferito dai media francesi, il Presidente della Repubblica Emmanuel Macron vorrebbe ora accelerare la nomina di un nuovo premier in vista dell’incontro con il neo eletto inquilino della Casa Bianca Donald Trump, che sarà a Parigi per la riapertura di Notre-Dame. Già due i nomi che circolano: quello del ministro della Difesa, Sébastien Lecornu, e del leader centrista François Bayrou. Fondamentale sarà la scelta in tal senso di Le Pen che vanta ben 143 deputati.
Per cercare di risollevare il Paese, Barnier aveva previsto una Manovra finanziaria che mirava al recupero di 60 miliardi di euro, ipotesi questa che non era affatto piaciuta a Marine Le Pen che, forte dei suoi numeri in Parlamento, ha chiesto al presidente di non gravare sui cittadini francesi con il suo intervento. Va ricordato, a tal proposito, che proprio il partito di Le Pen forniva appoggio esterno al governo, con la leader che ha deciso di far saltare il banco rimanendo insoddisfatta dalle garanzie offerte da Barnier dal punto di visto economico.
Per comprendere i motivi della caduta del governo francese è necessario ripercorre le tappe turbolente degli ultimi mesi in Francia. Barnier, per forzare l’approvazione del bilancio, ha deciso di utilizzare l’articolo 49.3 della Costituzione francese che permette al premier di bypassare il voto del Parlamento (molto diviso in questo caso). L’atto di forza ha però un effetto contrario importante: ai parlamentari vengono date 48 ore dal momento in cui il premier decide di forzare la procedura di approvazione per sfiduciare il governo, come accaduto.
Il responsabile di questo disastro si chiama Emmanuel Macron, che respinge la richiesta di dimissioni arrivatagli dalle opposizioni (maggioranza in Assemblea).
Macron ottenne il secondo mandato nella primavera del 2022, ma senza conquistare la maggioranza assoluta dei seggi in Assemblea. Da allora ha divorato l’uno dopo l’altro tre primi ministri: Elisabeth Borne, Gabriel Attal e Michel Barnier. La prima fu licenziata dopo avere varato una storica riforma delle pensioni. Il secondo era stato nominato all’inizio di quest’anno, forse nella speranza che avrebbe rinvigorito i consensi per la maggioranza centrista. Invece, alle elezioni europee il partito del presidente otteneva un catastrofico 14% contro il 31% del Rassemblement National di Marine Le Pen.
A giugno Macron scioglieva a sorpresa l’Assemblea Nazionale e perdeva nettamente il primo turno in favore di Le Pen. Per evitarne la vittoria anche al secondo, stringe accordi nei collegi con la coalizione di sinistra. Questa s’impone in termini di seggi, ma lontanissima dalla maggioranza assoluta. L’Eliseo si prende più di due mesi per nominare il nuovo primo ministro con la scusa dei Giochi Olimpici. La figura di Barnier, ex commissario europeo di provenienza conservatrice e già negoziatore per l’Unione Europea sulla Brexit, risultava del tutto slegata dal contesto parlamentare.
Il suo governo nasceva senza una maggioranza e si reggeva sull’astensione della destra lepenista.
Qualche settimana fa si è scoperto che i giudici francesi, che sono sotto il controllo del Ministero di Giustizia, chiedono che Le Pen venga esclusa dai pubblici uffici per 5 anni per un uso presumibilmente illegittimo dei fondi europei. Avrebbe pagato i collaboratori, anziché i “dipendenti” del partito. Questione di lana caprina. La sostanza è questa: Le Pen capisce che il ministro socialista Didier Migaud stia complottando per renderla incandidabile alle prossime elezioni presidenziali. Perché mai avrebbe dovuto continuare a sostenere l’esecutivo senza avere un proprio ministro, né il riconoscimento formale di soggetto politico e con il tintinnio di manette agitato dalle parti di Matignon?
Così arriviamo al voto di censura, che ha portato alla caduta del governo. Destra e sinistra invocano le dimissioni di Macron, che il diretto interessato definisce “fantapolitica”. Entro oggi sarà nominato un nuovo primo ministro e con ogni probabilità risulterà nuovamente sconnesso dai numeri parlamentari. Con Macron parliamo di una forma di tecnocrazia personalistica imposta a tutti e indipendentemente dalle condizioni politiche, realtà che non ha funzionato e non funzionerà neanche questa volta. La verità è che Macron ha portato la Francia al disastro fiscale con una politica di vuote parole e di impegni non mantenuti in sede europea. E’ stato fin troppe volte graziato in virtù del suo presunto europeismo, anche qui a parole, perché nei fatti si traduce nel proiettare gli interessi nazionali a Bruxelles. Da qui all’estate non ci potranno essere nuove elezioni, lo impedisce la Costituzione. C’è il rischio che anche il prossimo governo non riesca a muovere un dito e finisca per paralizzare il Paese per mesi e mesi. I mercati già prendono nota, ’Eliseo ha perso la scommessa e ha finito per paralizzare la Francia.
Macron dovrebbe dimettersi visto che la sua presenza è diventata tossica.
Secondo i media francesi Macron sarebbe intenzionato a nominare un nuovo premier già nel giro di 24 ore, con i nomi più gettonati al momento che sono quelli del ministro della Difesa, Sébastien Lecornu e del leader centrista François Bayrou.
L’Eliseo ha fatto sapere che Macron farà un discorso alla nazione oggi, 5 dicembre, alle 20.