Si proseguirà con il referendum per l’abrogazione totale della legge sull’autonomia differenziata. Uno step importante, che giunge dopo la sentenza della Corte costituzionale, che di fatto aveva già svuotato la riforma di Calderoli.
Ciò è dimostrato dal fatto che sia caduto il quesito sull’abrogazione parziale. Si tratta di una proposta giunta da cinque Consigli regionali (Campania, Emilia Romagna, Toscana, Sardegna e Puglia). La Suprema Corte ha ribadito come le norme discusse siano già state cancellate dalla Consulta.
Capitoli fondamentali, come il trasferimento dei poteri dallo Stato alle Regioni e la definizione dei livelli essenziali di prestazione (Lep), dovranno essere rivisti. Non si tratta di dettagli. E per la Lega, abituata a sventolare la bandiera del federalismo, è una doccia fredda.
La Corte ha chiarito che il progetto di autonomia non è stato bocciato nella sua interezza ma ha dichiarato incostituzionali sette disposizioni, tra cui quelle che riguardano la suddivisione delle competenze regionali e la definizione dei livelli essenziali di prestazioni (Lep).
La Corte ha ribadito che la distribuzione delle funzioni tra Stato e Regioni non può essere un semplice riparto di potere politico, ma deve servire al bene comune e al rispetto dei diritti garantiti. Partendo dal principio di sussidiarietà, i giudici hanno stabilito che l’autonomia deve migliorare l’efficienza delle istituzioni e rispondere concretamente alle esigenze dei cittadini. In questo contesto, la possibilità di trasferire intere materie legislative è stata giudicata incostituzionale: solo specifiche funzioni possono essere delegate, previa giustificazione basata sul principio di sussidiarietà.
La sentenza ha inoltre dichiarato incostituzionale la possibilità di modificare le aliquote dei tributi erariali tramite decreti ministeriali. Questa previsione, secondo i giudici, avrebbe potuto premiare Regioni inefficienti, compromettendo il principio di equità e responsabilità. La Corte ha posto un freno anche alla facoltatività del concorso agli obiettivi di finanza pubblica per le Regioni beneficiarie dell’autonomia, evidenziando il rischio di indebolire i legami di solidarietà tra i territori.
Sentenza della Cassazione
Un’ordinanza di 28 pagine è stata depositata, con la Cassazione che ha dato il suo via libera al referendum relativo alla riforma dell’autonomia differenziata. Si ritiene infatti che i quesiti siano ancora legittimi, nonostante i cambiamenti imposti di recente dalla Corte costituzionale (la sentenza ha agito tanto sulla fissazione dei Lep quanto sull’elenco delle materie devolvibili).
Caduto il quesito sull’abrogazione parziale, come detto, permane quello sull’abrogazione totale della riforma. Si tratta però un semaforo verde iniziale e provvisorio. Occorrerà infatti attendere ancora un po’ per ottenere l’ultima parola, che spetta alla Consulta. Entro il 20 gennaio 2025 dovrà pronunciarsi in merito alla coerenza costituzionale dei quesiti referendari presentati.
È importante sottolineare come la Corte Costituzionale non abbia ritenuto l’autonomia differenziata incostituzionale, di per sé. Ritenuta, in termini concettuali, rientrante nei principi fondamentali della Costituzione. A patto però di correggere in maniera sostanziale tutti i meccanismi fondanti firmati dal ministro Calderoli, a partire da cosa può essere trasferito alle Regioni.
Come detto, la Corte Costituzionale dovrà tornare a esprimersi. Entro il 20 gennaio 2025 otterremo una risposta definitiva sul quesito referendario, ufficialmente giudicato ammissibile o meno.
In caso di esito positivo, come pare scontato, si potrà procedere ufficialmente all’organizzazione del referendum. Parola al popolo, come gridano le opposizioni. Ma quando si terrà il tutto? La data dovrà essere fissata in una domenica, al fine di garantire a tutti la chance di esprimere il proprio parere in merito. Nello specifico parliamo di una delle nove giornate approvabili dal 15 aprile al 15 giugno 2025.
Una volta indetto il referendum abrogativo, si richiede la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto in Italia. Soltanto in questo modo l’esito potrà dirsi valido. Il 50%, più uno, degli elettori italiani dovrà esprimersi. Decisamente qualcosa di non semplice e scontato nel nostro Paese. Qualora la soglia non dovesse essere raggiunta o superata, si stabilirà il fallimento del referendum.
a Corte Costituzionale ha escluso che l’intero testo della legge sull’autonomia differenziata possa essere incostituzionale, ma ha espresso forti dubbi su alcuni passaggi della riforma che il Governo ha approvato. Così la Consulta accoglie parzialmente i ricorsi di Campania, Puglia, Sardegna e Toscana.
Oggi si dimentica che l’autonomia differenziata viene da lontano, non è un capriccio di Fratelli d’Italia e Lega, e viene dalla riforma del titolo V, firmata da Bassanini nel lontano nel 2001, un ‘capolavoro’ del centrosinistra che oggi Largo del Nazareno sembra avere dimenticato. Una contraddizione che brucia, come dimostra la fronda degli ex senatori Enrico Morando e Giorgio Tonini. Il ricorso al referendum, con il rito dell’estate a raccogliere firme, di fatto mette in gioco la riforma voluta dal centrosinistra 24 anni fa con l’avallo di un referendum popolare confermativo”. Pur di attaccare Palazzo Chigi il Pd si converte frettolosamente alla strada del centralismo con la retorica dell’unita nazionale e dell’amor patrio, non proprio una bandiera storica della sinistra.
Il centrodestra non si fa certo intimidire. “Smacco per il governo dopo oggi? Il referendum è una valutazione tecnico-giuridica. Penso che la democrazia diretta sia la cosa migliore”, dice Ignazio La Russa. “Ben venga il referendum siano gli italiani a decidere”, commenta il presidente del Senato. “Se la Corte ha detto che i punti non erano in sintonia con la Carta – conclude – il Parlamento prenda atto che non è stata bocciata la riforma. Il parlamento deve correggere e penso che lo farà”,
Ma la crociata referendaria è l’unico strumento del centrosinistra sconfitto dai successi del governo Meloni. “È una decisione importante contro una legge che aumenta le disuguaglianze tra i territori e indebolisce l’unità nazionale”, dice il leader dei Verdi intonando la solita litanìa della legge “spaccaItalia” smentita dall’architettura della riforma. Che invece dà maggiori opportunità al Sud. “Questa è la disfatta dell’autonomia differenziata leghista e del mercimonio politico tra Meloni e Salvini”. Con dichiarazioni “copia e incolla”, le sinistre parlano di vittoria politica e prospettano una “primavera referendaria”. Ma ignorano che il verdetto della Cassazione non ha nulla che vedere con il giudizio di merito della legge sull’autonomia.
Elly Schlein intima al governo di fermarsi. “Crediamo molto in questa battaglia. Dopo il pronunciamento della Consulta bisognerebbe che il governo si fermasse: è l’unico modo che ha per recuperare credibilità dopo lo strafalcione che la Corte la smontato”. Non sono da meno i pentastellati: “Non ci fermeremo finché non avremo posto fine a questa logica di disuguaglianza che mira a rendere alcune regioni più forti a scapito delle altre”, dice la senatrice Ketty Damante.