Mariarosaria Zamboi per Eurispes:
Mentre il 5G sta ancora muovendo i suoi primi passi in molti paesi, l’industria delle telecomunicazioni guarda già al futuro, delineando una visione della prossima generazione di reti mobili che promette di rivoluzionare il concetto stesso di connettività globale. Il 6G, la cui implementazione commerciale è prevista per il 2030, non si limiterà a migliorare le infrastrutture terrestri, ma integrerà pienamente le tecnologie spaziali creando un ecosistema di comunicazione tridimensionale che si estenderà dalla Terra alle piattaforme stratosferiche e ai satelliti in diverse orbite, fino a quella geostazionaria. Un elemento chiave del futuro delle reti è rappresentato dalla connettività non terrestre (NTN), che si basa sull’integrazione dei satelliti con altre tecnologie aeree, creando un sistema sinergico in grado di estendere la copertura anche nelle aree più difficili da raggiungere. I satelliti geostazionari (GEO) stanno già fornendo connettività a banda larga agli utenti finali, specialmente in regioni sotto-servite o non coperte dalle reti terrestri tradizionali, come le aree rurali e remote. Si tratta di satelliti posizionati in un’orbita sincronizzata con la rotazione terrestre a circa 36.000 chilometri sopra l’equatore. Questo permette loro di rimanere “fermi” rispetto ad un punto specifico della superficie terrestre rendendoli ideali per la copertura continua di vaste aree.
Mentre il 5G sta ancora muovendo i suoi primi passi in molti paesi, l’industria delle telecomunicazioni guarda già al 6G
Pur avendo rappresentato negli ultimi anni una soluzione alla connettività nelle aree remote, queste tecnologie satellitari mostrano forti limiti, sia per gli alti costi di costruzione, sia per l’elevata latenza[1], dovuta all’altitudine a cui sono posti che richiede ai segnali radio di viaggiare avanti e indietro per 36.000 chilometri. Approcci più recenti propongono satelliti in orbita bassa (LEO) e media (MEO), noti anche come satelliti in orbita non geostazionaria (NGSO). Questi sistemi sono più vicini alla Terra rispetto ai satelliti geostazionari, permettendo una riduzione significativa della latenza e migliorando le prestazioni per gli utenti e, sono anche più economici da costruire e lanciare; tuttavia la loro orbita bassa implica la necessità di molti più satelliti per garantire una copertura costante, con costi operativi che superano talvolta quelli dei satelliti geostazionari.
I progressi tecnologici stanno progressivamente riducendo i costi di costruzione e di lancio dei satelliti
Diverse aziende hanno già lanciato costellazioni di satelliti LEO per la connettività satellitare: a gennaio 2024 Starlink aveva già dispiegato 5.374 satelliti in orbita bassa, mentre OneWeb ne contava 634. Amazon, attraverso il Project Kuiper, si prepara a entrare nel mercato con i primi lanci commerciali previsti per il 2025. I progressi tecnologici stanno progressivamente riducendo i costi di costruzione e di lancio dei satelliti, rendendo possibile l’implementazione di costellazioni che possono offrire sia servizi di backhaul[2] per le reti terrestri, sia di connettività diretta agli utenti finali. Le nuove generazioni di satelliti ad alta capacità, definiti HTS (High Throughput Satellites), dotati di tecnologie avanzate come fasci orientabili e sistemi di riutilizzo delle frequenze, operano in bande che vanno dai 10,7 ai 52,4 GHz, consentendo di aumentare la potenza e la larghezza di banda nelle aree meno servite dalle reti terrestri. In parallelo, stanno emergendo soluzioni come le stazioni di piattaforma ad alta quota (HAPS): piattaforme volanti (palloni aerostatici e veicoli senza pilota) operanti nella stratosfera a circa 20 chilometri di altitudine, quindi a metà strada fra le infrastrutture terrestri e quelle satellitari. Rispetto ai satelliti geostazionari e alle NGSO offrono il vantaggio di agire più vicino alla Terra, riducendo notevolmente la latenza e, risultano più flessibili potendo essere spostate o ricalibrate per adattarsi a esigenze di connettività variabili. Queste soluzioni si mostrano più promettenti di altre per colmare i divari di connettività nelle aree rurali, inoltre la flessibilità di movimento le rende particolarmente utili a fornire copertura temporanea, ad esempio durante eventi di emergenza o per intervenire rapidamente nelle aree dove la connettività è compromessa.
Starlink ha già dispiegato 5.374 satelliti in orbita bassa, mentre Amazon si prepara a entrare nel mercato
Attualmente, né le tecnologie terrestri né quelle satellitari sembrano essere da sole in grado di risolvere i problemi di accesso alla connettività e qualità dei servizi di rete che affliggono ancora troppe aree del pianeta. Il futuro sembra dunque risiedere nell’integrazione delle tecnologie terrestri e non terrestri in una rete unificata e tridimensionale. Tali tipologie ibride sono già al centro degli sforzi di ricerca per il 6G con l’obiettivo di offrire una connettività veramente ubiqua e continua in grado di soddisfare le esigenze di tutti gli utenti. L’idea è quella di creare un’architettura di rete multistrato che comprenda stazioni base terrestri, piattaforme stratosferiche (HAPS), e diverse tipologie di satelliti in orbita bassa (LEO), media (MEO) e geostazionaria (GEO). Questo approccio, che rappresenta una delle ambizioni centrali del 6G, mira a garantire la disponibilità di un servizio di connettività ovunque, contribuendo così a superare il digital divide tra aree urbane e rurali, ma anche a garantire una connessione stabile ad utenti in movimento, ad esempio durante la navigazione aerea e in mare aperto. La realizzazione di una rete 6G globale e spaziale richiede investimenti significativi e una stretta collaborazione tra governi e settore privato. Nazioni di tutto il mondo stanno riconoscendo il potenziale trasformativo del 6G destinando risorse considerevoli alla ricerca, allo sviluppo e alla sua implementazione. I governi stanno definendo quadri normativi, finanziando iniziative di ricerca e promuovendo partenariati pubblico-privati per accelerare l’innovazione nel campo del 6G. Allo stesso tempo, i giganti della tecnologia, le aziende di telecomunicazioni e le startup stanno lavorando intensamente per sviluppare le tecnologie all’avanguardia necessarie per il 6G, come le costellazioni satellitari di seconda generazione, le infrastrutture terrestri e la gestione intelligente delle reti.
L’Italia vanta aziende leader nel settore aerospaziale ma sconta criticità strutturali che rischiano di comprometterne la competitività
L’Italia, in questa nuova corsa allo spazio, si trova in una posizione paradossale. Da un lato, il Paese vanta un tessuto industriale d’eccellenza, con aziende leader nel settore aerospaziale e della difesa che stanno già contribuendo allo sviluppo di componenti fondamentali per le future reti integrate, oltre alla presenza di una rete consolidata di centri di ricerca specializzati e a una significativa partecipazione a programmi europei come Horizon Europe per lo sviluppo del 6G; dall’altro lato, sconta criticità strutturali che rischiano di comprometterne la competitività. Il digital divide affligge il Paese sotto molteplici aspetti, da quello territoriale, con vaste aree ancora escluse dalla banda larga e dalla connettività 5g, ai divari generazionali e di genere che escludono un’ampia fetta della popolazione dalla rivoluzione digitale. Inoltre, l’Italia presenta rispetto ad altre economie sviluppate, forti ritardi nelle competenze digitali e nell’adeguamento infrastrutturale. L’obsolescenza delle infrastrutture le rende difficilmente integrabili con le tecnologie avanzate necessarie per il 5G e il futuro 6G e le lungaggini burocratiche rallentano l’istallazione di nuove stazioni base. Rimanere fuori dallo sviluppo della tecnologia 6G significherebbe per l’Italia rinunciare a competitività, opportunità e influenza in un settore sempre più strategico e dinamico. La dipendenza da altri paesi per l’accesso ai dati e ai servizi spaziali limiterebbe le capacità nazionali, privando cittadini e imprese dei benefici in termini di connettività avanzata, innovazione e sviluppo sostenibile. Per scongiurare questo scenario, è essenziale continuare a puntare sullo sviluppo delle nuove reti, attraverso investimenti in infrastrutture e formazione, il sostegno alle capacità industriali, scientifiche e innovative del Paese e la partecipazione attiva ai progetti internazionali e alla regolamentazione del settore spaziale.
Il 6G mira a garantire un servizio di connettività ovunque per superare il divario digitale nelle aree rurali
Con la capacità di raggiungere ogni angolo del pianeta, il 6G potrà rispondere a una visione di connettività globale inclusiva, trasformando l’accesso a Internet in un diritto universale. Non promette di essere solo un progresso tecnologico, ma un potente strumento per promuovere l’inclusione sociale, economica e culturale, migliorando la qualità della vita delle persone ovunque esse si trovino. In questo futuro mondo iperconnesso, l’Italia non può permettersi di rallentare il passo: deve saper cogliere questa opportunità per rimanere competitiva sul mercato globale e favorire la crescita economica e la capacità di resilienza del Paese per le generazioni presenti e future.