Reti di satelliti italiani visti da Chiara Pertosa di Sitael e Roberto Cingolani di Leonardo Spa, per andare oltre Starlink

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‘Possiamo costruire una costellazione di satelliti a bassa orbita con meno di un miliardo, ma probabilmente avere solo una costellazione italiana non ha molto senso», sostiene Chiara Pertosa, dal 2022 amministratrice delegata di Sitael, azienda spaziale pugliese, con sede a Mola di Bari, parte del gruppo Angel.

«Nel breve termine affidarsi a un servizio già disponibile come quello offerto da Starlink è la soluzione più rapida. Ma come Europa dobbiamo puntare sull’indipendenza. Affidarsi esclusivamente a sistemi esteri può andare bene solo per un periodo limitato. Non è un problema di tecnologia: in Italia siamo perfettamente in grado di realizzare satelliti e costellazioni, abbiamo competenze eccellenti. Il vero ostacolo sono i fondi. Creare una costellazione così importante in termini di numeri, richiede investimenti iniziali significativi. A livello europeo abbiamo impiegato 3 anni per lanciare il progetto Iris² ed è finanziato solo al 60%. Negli Stati Uniti, i sussidi e i contratti di lungo termine permettono di recuperare questi costi nel tempo. In Europa, inoltre, abbiamo un approccio molto più frammentato e regolamentato. Per un progetto made in Italy sono necessari almeno tre anni per lo sviluppo e altri due o tre per implementare il progetto. Ma non avrebbe senso, meglio puntare su una rete più amplia a livello europeo. E l’Italia potrebbe contribuire con 700-800 milioni, un investimento modesto se paragonato ad altre opere pubbliche. Tutti i nostri dispositivi, equipaggiamenti, satelliti devono rispettare la normativa Ecss, che garantisce un’affidabilità maggiore. Negli Usa non c’è e Starlink può abbattere i costi, ma con una qualità dei satelliti inferiore sulla carta. In Europa dobbiamo qualificare qualsiasi pezzo prima di farlo volare. Abbiamo specifiche precise sui materiali. I pannelli dei satelliti, ad esempio, devono essere multistrato, mentre si legge in rete che Musk usi acciaio verniciato. Non sappiamo se è vero, diciamo che gli americani si prendono più rischi e fanno più verifiche quando lanciano’.

Intervistato dal Foglio, Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo Spa ed ex ministro della Transizione ecologica, lancia l’allarme: «Il rischio è restare fermi, indietro, mentre gli altri si attrezzano. In Italia esiste l’esigenza di dotarsi di nuova tecnologia e strumenti avanzati: è necessario sia dal punto di vista civile che militare. Tutti i paesi europei stanno valutando i sistemi satellitari a bassa orbita. Tra le opzioni c’è sicuramente SpaceX.
Tra le opzioni in campo, da valutare, c’è sicuramente Elon Musk. Ma non solo, certamente al momento SpaceX rappresenta la realtà tecnologica più evoluta, mentre l’Europa punta su Iris2, un progetto che promette di entrare in funzione entro il 2030. Il 2030 è ancora parecchio lontano. Nel frattempo, servirà adottare soluzioni ponte.

La corsa allo spazio è anche una partita politica ed economica, e gli attori in gioco sono i nuovi «robber barons» del ventunesimo secolo. Una definizione che evoca i baroni predatori dell’America industriale, figure come Rockefeller, Carnegie e Vanderbilt, ma declinata oggi nei nomi di Musk, Bezos e Zuckerberg. Le decisioni commerciali, una volta prese nelle sale riunioni o durante le assemblee degli azionisti, sono sempre più influenzate dalla politica, scrive Greg Ip sul Wall Street Journal. Un capitalismo di Stato che si intreccia con il capitalismo clientelare, in cui le aziende cercano vantaggi nei corridoi del potere piuttosto che sul mercato.

Non è un caso che lo stesso Musk si sia trovato nel mirino di accuse da più fronti. Steve Bannon, ex stratega di Donald Trump, lo attacca frontalmente: «Elon vuole solo i soldi». Un’accusa che sembra trovare riscontro nelle sue mosse strategiche: dallo spazio alle telecomunicazioni via satellite, fino all’auto elettrica, molti dei suoi progetti dipendono dal sostegno dei governi. La Tesla stessa, oggi un colosso che vale più di Ford, Gm e Chrysler messe insieme, ha rischiato più volte la bancarotta e si è salvata grazie agli aiuti statali.

Leonardo, come altre aziende europee, si trova a navigare in un contesto dominato dai giganti tecnologici americani e dalla crescente influenza della Cina. L’accordo firmato da Musk per operare in Cina senza un partner locale – un unicum per un’azienda occidentale – mette in evidenza le dinamiche di potere globali. Eppure, come sottolinea Cingolani, l’Italia non può restare alla finestra. La partecipazione al progetto europeo Iris2 è un passo nella direzione giusta, ma è chiaro che servono soluzioni immediate per non perdere terreno.

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