Non solo ponte con l’Europa, ma anche con il cosiddetto Mediterraneo allargato. A dirsi convinto che Giorgia Meloni possa ricoprire anche questo ruolo nei rapporti con gli Usa è Karim Mezran, senior fellow e direttore della North Africa Initiative all’Atlantic Council, uno dei più importanti think tank americani. «Credo che Meloni possa assolutamente giocare un ruolo di ponte con i Paesi arabi e africani, anche più che nei confronti dell’Europa», ha spiegato l’esperto.
All’insediamento di Donald Trump, Meloni, oltre che unica leader europea, era anche l’unica leader dell’area mediterranea ampiamente intesa, ovvero che comprende anche Nord Africa, Medio Oriente, Sahel. «Non vedo Germania e Francia rinunciare a un rapporto diretto con Trump, ma la premier italiana può ritagliarsi uno spazio di primo piano. Diversamente dal primo mandato, stavolta si vede una squadra intorno al presidente che può costruire canali di politica estera più stabili e prevedibili. Anche se l’uomo resta sempre difficilissimo da leggere per noi analisti», ha detto Mezran.
Facendo riferimento al Piano Mattei, l’esperto ha sottolineato che in Africa «Meloni è stata molto intelligente e ha trovato il modo di posizionarsi bene». Si tratta di un posizionamento la cui portata diventa ancora più strategica se inserita all’interno del nuovo contesto globale, con la sfida lanciata da Trump alla penetrazione russa e cinese in quelle zone, nelle quali però nel corso del suo precedente mandato non ha mai compiuto viaggi. «Non conta tanto il numero di progetti o i miliardi investiti, quanto la capacità dell’Italia di inserirsi in un contesto che finora era dominato da altri attori. I francesi, ad esempio, hanno perso su tutta la linea, e dire che loro una struttura post-coloniale ce l’avevano. La premier italiana – ha sottolineato Mezran, è l’unico leader di cui si parla in questo momento, l’unica di cui tutti sono curiosi».
«Al premio dell’Atlantic Council che le è stato consegnato da Elon Musk c’erano 700 persone, e altrettante ci avevano chiesto di partecipare», ha ricordato Mezran, spiegando che «di solito al gala c’era la metà degli ospiti». «Sono in questo think tank a Washington da 12 anni e fino all’anno scorso nessuno mi aveva chiesto informazioni dettagliate sul governo italiano. Al massimo mi chiedevano consigli per ristoranti», ha scherzato direttore della North Africa Initiative all’Atlantic Council, ma sottolineando un punto serio: «Politicamente può piacere o non piacere, ma Meloni si è posta al centro dell’attenzione. E anche con Trump ha capito come ci si deve muovere. Chi vuole avere un rapporto con il presidente americano non può seguire gli schemi diplomatici di una volta».
Kenneth Rogoff, professore di Harvard, già capo economista del Fondo monetario internazionale è a Davos per il World economic forum ed è stato intervistato da La Stampa sull’insediamento del presidente Trump e sulle conseguenze per l’Europa. La lettura della sua intervista stamattina deve avere mandato di traverso il caffè a molti esponenti dell’opposizione.
Del neo presidente Trump, Rogoff dice sostanzialmente che sarà “una scossa” per l’Europa. «Trump sa cosa fare e come farlo. Dai dazi alla finanza, l’impatto sarà globale. Però, in questo modo l’Europa ha l’occasione di risvegliarsi dall’attuale irrilevanza geopolitica, e Giorgia Meloni può essere cruciale in ciò». Sulla presidente del consiglio italiana, le parole dell’economista statunitense distribuisce una pioggia di elogi, che sono una doccia gelata per Schlein e compagni. «So che in Italia, e in Europa, Giorgia Meloni è vista come una figura controversa – premette Rogoff – Ma è decisamente il miglior leader politico che oggi abbia l’Europa. È concreta, pragmatica, capace. L’ho vista in azione al G30 di Roma e posso affermare senza problemi che è la più talentuosa figura politica che ho osservato dai tempi di Bill Clinton. Al netto delle posizioni politiche, l’Ue può contare su di lei. E l’Italia può godere di una relativa stabilità politica che può essere funzionale all’Ue».
Fabrizio Goria, il giornalista che La Stampa ha inviato a Davos, chiede a questo punto a Rogoff di chiarire se questa analisi sia un punto di vista personale o una visione comune all’estero. L’ex capo economista del Fondo monetario internazionale precisa che è una visione unanime. «Sì, dopo un po’ di curiosità iniziale, forse anche qualche timore, dell’Italia si apprezza la stabilità politica e il pragmatismo economico. Senza dimenticare che i rapporti transatlantici sono sempre ottimi».
«Questo è il momento per un passo in avanti. L’Europa dovrebbe reinventarsi. Prendiamo il rapporto prodotto da Mario Draghi. È ottimo, ma mi pare troppo ottimista», precisa il docente di Harvard spigando i limiti del rapporto: «Perché si ritiene che non ci siano difficoltà nel risolvere la crisi d’identità che sta vivendo l’Europa. Draghi ha colto nel segno evidenziando le difficoltà, ma ora è la politica che deve muoversi».