Le opposizioni hanno ritrovato coesione nel caso della scarcerazione del generale libico Osama Alamsri Njeem, arrestato a Torino per un mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale, rilasciato a causa di un vizio di procedura nelle fasi dell’arresto e poi espulso su ordine del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Almasri, come noto, è accusato di torture nel carcere libico di Mittiga che dirigeva. “Il caso è grave, a parlare deve essere Meloni”, è la tesi delle forze di opposizione, che sono perfino riuscite a produrre un atto unitario: una lettera alla Camera in cui, chiedendo l’intervento del premier, scrivono che «ne va della dignità della nazione». In questo caso la Cpi ha lamentato in una nota che il rilascio è avvenuto senza che fosse preavvisata o consultata.
Il problema della vicenda Almasri, però, è che a non essere stato consultato è stato prima di tutto il ministero della Giustizia, che ha competenza esclusiva sugli arresti ordinati dalla Cpi. Tanto che non un organo politico, ma la Corte d’Appello di Roma, accogliendo una richiesta del Procuratore generale, ha ordinato la scarcerazione del libico, definendo il fermo «irrituale» secondo le procedure che regolano i rapporti tra Stato italiano e Cpi e interessando poi il ministero della Giustizia. Ma Almasri era stato già raggiunto da un ordine di espulsione immediata, così come i suoi tre connazionali fermati con lui.
«Esiste la procedura penale, quando ci sono dei vizi di procedura poi gli atti diventano nulli. Se c’è stato un errore, quell’errore ha poi delle conseguenze», ha chiarito il ministro degli Esteri Antonio Tajani, rispondendo alle domande dei cronisti sul caso. «Il governo risponderà nelle sedi opportune, figuriamoci se posso anticipare. Mancherei di rispetto alle istituzioni», ha chiarito poi il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano.
Il nodo delle comunicazioni al ministero della Giustizia
Almasri viene arrestato la notte tra sabato e domenica 19, il ministero riceve comunicazione il 21. Intanto Almasri viene raggiunto dal decreto di espulsione, eseguito immediatamente alla luce della sua pericolosità.
Quello che non torna nei tempi del mandato di cattura dell’Aja
C’è però anche un’altra tempistica che andrebbe chiarita e che invece sembra sfuggire ai radar della sinistra: la richiesta di arresto internazionale da parte del Procuratore della Corte penale internazionale risale ai primi di ottobre, la Corte però lo emette solo il 18 gennaio, quando Almasri in Germania richiede il noleggio di un’auto da poter poi restituire a Fiumicino e, soprattutto, dopo aver girato indisturbato per 12 giorni tra Londra, Bruxelles, Bonn e Monaco. Perché, è la domanda che si sono fatti molti in queste ore, L’Aja ha atteso tanto per muoversi? Ed è una casualità che questo sia avvenuto quando Almasri stava prendendo la via dell’Italia? Il vero intrigo internazionale, se proprio ci si vuole esercitare su questo tema, forse andrebbe cercato qui e non altrove. Ma questo non sarebbe funzionale alle polemiche contro il governo.
La decisione di espellere il generale libico Najeem Osema Almasri Habish, dopo che la Corte d’Appello di Roma ne aveva ordinato il rilascio per un vizio di procedura, è stata presa a «salvaguardia della sicurezza dello Stato», alla luce del profilo di elevata pericolosità che emerge anche dal mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale. A chiarirlo è stato il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, rispondendo al Question time al Senato sul caso intorno al quale la sinistra ha sollevato un polverone, accusando il governo di aver gestito la vicenda in maniera «opaca» e perfino di «complicità con una persona su cui pende l’accusa di reati gravissimi».
«Il 21 gennaio, la Corte d’Appello di Roma, nell’ambito delle prerogative di vaglio dei provvedimenti di limitazione della libertà personale, ha dichiarato il non luogo a provvedere sull’arresto del cittadino libico, valutato come irrituale in quanto non previsto dalla legge, disponendone l’immediata scarcerazione se non detenuto per altra causa», ha spiegato Piantedosi in Aula. Il ministro quindi ha ricostruito le fasi dell’arresto di Almasri, avvenuto il 19 gennaio su un mandato della Cpi avvenuto il giorno prima. Solo dopo l’arresto, ha ricordato, sono stati informati la procura generale presso la Corte d’Appello di Roma, il ministero di Giustizia, il difensore d’ufficio e le Autorità Consolari. Il 21 gennaio, poi, la Corte d’Appello ha disposto il rilascio per vizio di forma e ne è seguito il rimpatrio immediato a Tripoli, «per ragioni di urgenza e sicurezza, vista la pericolosità del soggetto».
Piantedosi ha poi spiegato che «considerato che il cittadino libico era a piede libero in Italia e presentava un profilo di pericolosità sociale, come emerge dal mandato di arresto emesso in data 18 gennaio dalla Corte penale internazionale, ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato». «Il provvedimento è stato notificato all’interessato al momento della scarcerazione e, nella serata del 21 gennaio, ha lasciato il territorio nazionale», ha precisato Piantedosi, chiarendo che «l’espulsione che la legge attribuisce al ministro dell’Interno è stata individuata come misura in quel momento più appropriata, anche per la durata del divieto di reingresso, a salvaguardare la sicurezza dello Stato e la tutela dell’ordine pubblico che il governo pone sempre al centro della sua azione unitamente a ogni profilo di tutela dell’interesse nazionale».
Piantedosi ha quindi chiarito che nell’informativa già prevista per la prossima settimana approfondirà e riferirà «su tutti i passaggi della vicenda, compresa la tempistica riguardante la richiesta, l’emissione e l’esecuzione del mandato di cattura internazionale, che è poi maturata al momento della presenza in Italia del cittadino libico».
Le informazioni note su Almasri sono poche. Si sa che il 45enne è una delle persone coinvolte nelle indagini della Corte penale internazionale, iniziate nel marzo 2011. È il capo della Polizia giudiziaria libica e guida il ramo di Tripoli Istituzione di riforma e riabilitazione, una rete di prigioni gestite dalla Forza speciale di deterrenza, nota informalmente come Rada. Tra queste prigioni c’è anche il carcere di Mitiga, da anni al centro di denunce per le violazioni dei diritti umani che avvengono al suo interno.
La Rada è di fatto una milizia, o polizia militare, che agisce in collaborazione con il governo in carica della Libia occidentale, guidato da Abdul-Hami Dbeibah, con sede a Tripoli. Come altre milizie libiche, la Rada è stata accusata di crimini di guerra nel corso della guerra civile nata dopo la caduta di Gheddafi nel 2011, e non solo.
Come dimostrano gli accordi sulle migrazioni, il governo di Roma ha stretti legami con quello di Tripoli. I finanziamenti italiani alla Libia servono proprio a far sì che le forze libiche blocchino le persone migranti e impediscano loro di arrivare in Europa. Anche l’Unione europea ci mette dei soldi, finanziando l’addestramento della cosiddetta Guardia costiera libica, che spesso usa imbarcazioni acquistate dall’Italia.
Nel comunicato in cui la Corte penale internazionale ha sostanzialmente rimproverato l’Italia per aver scarcerato Almasri, i giudici hanno anche ricordato l’elenco completo delle accuse a suo carico. Il mandato di arresto internazionale, che era stato richiesto negli scorsi mesi, è stato emesso ufficialmente il 18 gennaio. In sintesi i reati (riportati così dalla Corte d’appello di Roma quando ne ha ordinato la liberazione) sono di “crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nella prigione di Mitiga, in Libia”, puniti “con la pena massima dell’ergastolo”.
Le accuse sono riferite al periodo dal febbraio 2015 in avanti, stando al comunicato della Cpi. Nelle prigioni da lui gestite, “migliaia di persone sono state detenute per periodi prolungati”. Tra i crimini di guerra e contro l’umanità ci sono “omicidio, tortura, stupro e violenza sessuale”.
Più in particolare, riprendendo lo Statuto di Roma su cui si basa la Corte penale internazionale, i crimini di guerra di cui è accusato Almasri sono:
Violare la dignità personale con trattamenti umilianti e degradanti
Trattamenti crudeli e tortura;
Stupro e violenza sessuale
Omicidio
I crimini contro l’umanità per i quali è ricercato, invece, sono:
Imprigionamento
Tortura
Stupro e violenza sessuale
Omicidio
Persecuzione contro un gruppo o una collettività dotati di propria identità, inspirata da ragioni di ordine politico, razziale, nazionale, etnico, culturale, religioso o di genere sessuale
Tutti questi reati sarebbero stati commessi da Almasri, da lui ordinati oppure avvenuti con la sua assistenza ad opera di membri della Rada. I crimini sarebbero avvenuti nella prigione di Mitiga, contro persone incarcerate per la loro religione (perché cristiani, atei o altro ancora), perché “sospettati di ‘comportamento immorale’ e omosessualità”, per il loro presunto supporto a gruppi armati. O anche solo a scopo coercitivo, per ottenere denaro. Questo è il quadro dato dalla Corte penale internazionale.