Atto dovuto o voluto? Si gioca qui la vera partita sulla credibilità dell’indagine sulla Meloni, i due ministri e un sottosegretario finiti nel mirino della Procura di Roma per il caso Almasri. Ma si gioca anche sui tempi, per esempio sulla maledetta fretta con la quale l’Anm ha spiegato che quella notifica alla premier era un provvedimento da fare in automatico dopo la denuncia, che non farlo sarebbe stata un’omissione di atti d’ufficio e che la legge parla chiara quando invita alla “omessa indagine”.
La comunicazione di inizio indagine per Meloni & C. era un atto dovuto, dunque, ma a seguito di un atto voluto, ovvero la valutazione “discrezionale” fatta dal magistrato incaricato di trasmettere gli atti al Tribunale dei ministri. E la parte della legge che parla di trasmissione in “omessa indagine” arriva comunque a normare qualcosa che segue la valutazione preliminare sul “procedere” o meno, per evitare che chiunque possa attaccare e minare, oltreché la vita di un cittadino sconvolto da un avviso di inchiesta a suo carico, anche della vita politica di un Paese che dovrebbe proteggere la sfera decisionale, il potere esecutivo, da qualsiasi forma di aggressione pretestuosa.
Governo unito, anche nella difesa. Il giorno successivo all’avviso di garanzia al premier Meloni, ai ministri Nordio, Piantedosi e al sottosegretario Mantovano sulla vicenda Almasri fa registrare la linea della “fermezza”. La prima a parlare è stata Giorgia Meloni: “Il nostro impegno per difendere l’Italia proseguirà, come sempre, con determinazione e senza esitazioni. Quando sono in gioco la sicurezza della Nazione e l’interesse degli italiani, non esiste spazio per passi indietro. Dritti per la nostra strada”, sono le sue parole su X dopo la giornata di veleni seguita alla denuncia presentata alla procura capitolina dall’avvocato Luigi Li Gotti.
Intanto si prepara la difesa: il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, i ministri dell’Interno, Matteo Piantedosi, della Giustizia, Carlo Nordio, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, Alfredo Mantovano, hanno deciso congiuntamente di nominare quale unico legale l’avvocato Giulia Bongiorno. Una scelta che, spiegano fonti di Palazzo Chigi, “sottolinea la compattezza del governo anche nell’esercizio dei propri diritti di difesa”. Dall’altra parte della barricata, anche stavolta, c’è il procuratore Francesco Lo Voi, che a Palermo – prima di essere destinato a Roma – aveva istruito il processo sulla Open Arms contro Salvini. Stavolta si è limitato a trasferire il fascicolo al Tribunale dei ministri, che fa capo comunque alla Procura di Roma.
Nel 2017 l’allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, predecessore di Lo Voi, firmava un circolare esplicativo il cui senso, alla romana, sarebbe stato: occhio ai cazzari. Non che l’avvocato Li Gotti, che ha denunciato mezzo governo, lo sia, ma il principio era ferreo: i fascicoli giudiziari vanno aperti dopo una pur minima valutazione discrezionale dei giudici. Traduzione: quello che diventa avviso o notizia di indagine, è un atto sempre e comunque “voluto”. Nel caso Almasri, basterebbe dire la Procura di Roma considera quella di Li Gotti una denuncia seria e non che in quel caso si è svolto solo un ruolo di passacarte.
Resta a futura polemica quella circolare n. 3225/17 di Pignatone che metteva i suoi sostituti in guardia dalla logica dell’atto dovuto. L’«errore» – si legge – consiste nel ritenere che, se in una querela o denuncia un certo reato viene attribuito a una persona, il pm sia tenuto ad iscrivere nel registro degli indagati. Dovuto? No, voluto. E tutto cambia, e forse, si spiega.
La capigruppo del Senato ha deciso il rinvio del dibattito sulla mancata informativa sul caso Almasri, per le vicenda relativa al rimpatrio del generale libico sono indagati, con la premier Giorgia Meloni, i due ministri e il sottosegretario Alfredo Mantovano, a martedì prossimo. Pd, M5S, Avs e Italia Viva hanno chiesto che la stessa Meloni venga a riferire in Aula sul caso. “Non andremo avanti con i lavori fino a quando il governo non chiarirà i contorni di questa vicenda”, ha detto lasciando la capigruppo, il presidente dei senatori del Pd, Francesco Boccia.
Non è difficile immaginare l’atmosfera che regna al Quirinale in queste ore, con uno scontro tra politica e magistratura che ha superato ampiamente il livello di guardia ed una tensione tra maggioranza ed opposizione che ha portato ad una semiparalisi dei lavori parlamentari, che in Aula riprenderanno alla Camera la prossima settimana e al Senato quella successiva, con soprattutto l’impossibilità di procedere alla nuova votazione per l’elezione dei giudici della Corte costituzionale. Senza dimenticare il merito della cosiddetta vicenda Almasri, che oltre alle conseguenze che sta determinando nel dibattito politico-istituzionale interno, porta con sè delicate ripercussioni a livello internazionale.
Se per Fratelli d’Italia l’iscrizione della premier Giorgia Meloni nel registro degli indagati per il caso Almasri è «giustizia a orologeria», cinque anni fa denunciare il presidente del Consiglio per peculato era invece un atto politico normale. Meloni – insieme ai ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio e il sottosegretario Alfredo Mantovano – è infatti indagata per “uso improprio”, esattamente come nel 2020 l’allora premier Giuseppe Conte dopo un esposto della parlamentare di FdI Roberta Angelilli. In entrambi i casi, dopo la notifica dell’iscrizione nel registro da parte della procura di Roma, il fascicolo è passato al Tribunale dei ministri. La causa contro Conte fu poi archiviata, per le valutazioni su Meloni bisognerà attendere qualche settimana.
La denuncia di Fratelli d’Italia contro l’ex premier Giuseppe Conte contestava un «uso improprio della scorta». Il 26 ottobre 2020 la sua compagna Olivia Paladino fu “soccorsa” dagli uomini della scorta del premier sotto casa mentre tentava di sottrarsi alle domande di Filippo Roma, inviato de Le Iene. Paladino prima si rifugiò nel supermercato vicino – dove lasciò una sua borsa a un impiegato del negozio – e poi, dopo qualche minuto, gli agenti intervennero in suo aiuto. Dopo diverse interrogazioni da parte della Lega e la denuncia della parlamentare Angelilli, la procura di Roma interrogò lo stesso Filippo Roma come persona informata sui fatti. Questa la grande differenza tra il caso Conte e il caso Meloni, che è stata iscritta nel registro degli indagati come atto dovuto come sottolineato dalla magistratura.
L’archiviazione dell’accusa
Il fascicolo contro Conte fu, come da prassi, inviato al Tribunale dei ministri. Il 30 marzo 2021 fu ufficializzata l’archiviazione del procedimento per peculato, dando ragione all’ex premier che sosteneva che «non era mai stata usata la macchina della scorta e non c’era stato alcun intervento». E che Conte stesso «non era informato» sulla questione, avendo appreso quanto era successo solo una volta uscito di casa qualche minuto dopo rispetto alla compagna.