‘Februare’: la Performance di Daniela Beltrani per un Rito Contemporaneo di Purificazione e Rinascita

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Il 6 febbraio 2025, alle ore 18:00, IOSONOVULNERABILE di SERGIO MARIO ILLUMINATO – mostra transdisciplinare che indaga la fragilità come esperienza condivisa e come punto di accesso alla conoscenza di sé e del mondo – presenta Februare, la performance di Daniela Beltrani, ultimo appuntamento del ciclo di eventi performativi Dal corpo al corpo dell’arte, a cura di Roberta Melasecca e Michela Becchis.

Daniela Beltrani, artista della performance e direttrice artistica di PAR Performance Art Rome, propone con Februare un’azione ispirata ai riti pagani di purificazione che caratterizzavano il mese di febbraio nell’antica Roma. Un tempo considerato l’ultimo mese dell’anno, febbraio era il momento della transizione tra la morte e la rinascita, della dissoluzione delle impurità e della preparazione a una nuova fase dell’esistenza.

La ricerca artistica di Daniela Beltrani si muove tra dimensioni oniriche e sensoriali, con una forte componente metafisica e trans-materica. L’artista esplora il corpo e l’azione performativa come strumenti di connessione con il mistero dell’esistenza, accettando il rischio dell’ignoto e del non-controllo. La sua performance è un invito alla vulnerabilità dell’esperienza, alla condivisione di un processo trasformativo che ci mette in contatto con le nostre radici più profonde.

Attraverso il gesto rituale e la partecipazione attiva del pubblico, Februare si configura come un percorso di consapevolezza collettiva, una “liturgia laica” in cui i confini tra corpo, spazio e tempo si dissolvono. Il pubblico sarà chiamato a scegliere il proprio livello di coinvolgimento, rendendo l’esperienza artistica un’occasione di esplorazione intima e personale.

Il ciclo Dal corpo al corpo dell’arte ha visto la partecipazione di numerosi artisti che, attraverso la performance, hanno dato corpo e voce ai temi della vulnerabilità e della trasformazione. All’interno di IOSONOVULNERABILE, la performance diventa un atto di resistenza poetica e di riconnessione con la propria essenza più autentica.

Con Februare, Daniela Beltrani ci invita a riscoprire il senso del cambiamento e della rinascita, abbandonando la rigidità della routine e aprendoci alla possibilità di una metamorfosi continua.

Quattro domande per Daniela Beltrani:

1. Februare si ispira ai riti di purificazione dell’antica Roma. Come hai tradotto questi antichi rituali in un’azione performativa contemporanea?

Nel concettualizzare la performance per questo progetto, mi sono lasciata ispirare non solo dal tema della vulnerabilità, ma anche dalla bellissima collezione archeologica di Villa Altieri, dal passato pagano di Roma e dalla collocazione temporale della performance stessa. La performance è site-specific, ma anche time-specific. Infatti, l’idea del rito è ispirata alla tradizione pagana che considerava febbraio – ultimo mese dell’anno (fino al II secolo a.C.) – il mese dei morti e della purificazione, in preparazione della rinascita che avveniva con il risveglio della natura in primavera, e dell’inizio dell’anno che avveniva a marzo (settembre, ottobre, novembre e dicembre erano, allora, il settimo, l’ottavo, il nono e il decimo mese dell’anno). Febbraio fu introdotto – insieme a gennaio – nel calendario romano pre-giuliano dal secondo re di Roma (sabino, di Cures, attuale Fara in Sabina, dove mi sono trasferita di recente), Numa Pompilio, che lo chiamò così in onore della divinità etrusco-sabina Februus, da februare, purificare. Durante febbraio avvenivano varie februa, purificazioni, all’insegna delle festività quali Parentalia, Lupercalia (soppressa da papa Gelasio nel 494), Quirinalia (in onore del dio sabino Quirinus), e Feralia (da ferre, portare, poiché i vivi portavano doni ai morti). Ovidio ci narra, ne I Fasti – del rituale sacrificale alla dea Tacita (conosciuta anche come Acca, Lara o Lala), e del suo mito, che la vede come naiade nei boschi del Lazio proteggere sua sorella Giuturna e per questo subire la punizione di Giove il quale le strappa la lingua e la fa trascinare da Mercurio nell’Ade, dove la relega trasformandola in divinità infernale. Alcuni materiali ed alcune azioni recuperate da approfondimenti su tali argomenti verranno riproposti in chiave artistica come riti laici di consapevolezza e purificazione da fardelli che ci tengono ancorati in schemi ripetitivi, ostativi alla nostra personale fioritura.
2. Nella tua ricerca artistica il concetto di vulnerabilità sembra avere un ruolo centrale. Cosa significa per te essere vulnerabili attraverso la performance?

Sin dalla prima performance che ho presentato impromptu in una calda e umida sera di febbraio 2011 a Santiago, Isabela (Filippine), la mia pratica artistica è stata caratterizzata da una ricerca metafisica, trans-materica, di ciò che si trova – oltre il velo di Maya – nel cuore di esperienze contrastanti (Path, 2011), nell’incontro con l’altro (Waiting for you, 2013 e Sewn#1, 2014), nella bruciante e tragica consapevolezza del tempo che scorre (Shi Jian, 2014), nei vuoti costrutti delle convenzioni umane (Pasir-Risap, 2015). Questa ricerca è sempre stata condotta all’insegna dei valori di autenticità, e dunque di vulnerabilità, senza la rete di protezione di reiterazioni verso un punto preciso come avviene nel teatro o nella musica, ma in un sincero approccio sperimentale, e nella consapevolezza che al di là della mia intenzione artistica, esiste una trama di relazioni ed azioni che sfuggono completamente al mio controllo e che possono venirmi in-contro od essermi contro. In entrambi i casi, si tratta di accettarli o meno, ma comunque di indagarne il senso, per svelarne il tesoro. Come in un kōan di tradizione buddista zen – domanda o storiella nella quale l’uso della ragione non solo non sostiene, ma è addirittura d’intralcio all’intenzione del maestro di guidare il discepolo verso la comprensione della realtà ultima delle cose, verso l’illuminazione (satori) – anche nell’esperienza delle mie performance, la ragione può essere riposta per privilegiare un approccio sensoriale, materico, onirico, magico, mitico, subcosciente, accedendo a quelle dimensioni mentali considerate secondarie o neglette dalla tradizione occidentale. Il nostro rapporto con il mondo, in tal modo, si amplia, facilitando l’accesso alle molteplici dimensioni attraverso le quali interpretiamo le nostre esperienze e comunichiamo con il mondo esterno. Recita il verso 47 del II capitolo del Bhagavad Gita: “Hai il diritto di compiere i tuoi doveri prescritti, ma non di godere dei frutti dell’azione. Non considerarti mai la causa dei risultati delle tue attività e non cercare mai di sfuggire al tuo dovere.” E continua nel verso 48: “Compi il tuo dovere con fermezza, o Arjuna, senza attaccamento al successo o al fallimento.” La mia arte è per me una necessità, un modo di vedere la vita, di trovarne il senso, di vivere, che non si limita alla mera esecuzione della performance, ma permea la mia intera vita, come il respiro che la sostiene. In questa ottica, successo e fallimento diventano parametri restrittivi, persino termini senza senso, in quanto la qualità dell’incontro con l’altro attraverso l’arte in ogni performance, avviene nello spazio di cui parla Jalal al-Din Rumi (1207-1273), ben oltre le idee di giusto e sbagliato. Ogni mia performance è un invito alla vulnerabilità dell’esperimento, al disagio di fronte a misteri o domande senza risposta, allo scoprirsi nudi ed indifesi, ma insieme. L’ispirazione, il concetto, l’intenzione, la ricerca materica vengono approfonditi attraverso riflessioni e visioni, ma non si tramutano in azioni finché non mi trovo nello spazio e nel tempo stabiliti, davanti all’”altro”. Ricerco i materiali. Studio le azioni. Approfondisco ispirazioni e concetti. Preparo il mio corpo, la mia mente, il mio spirito. Ma non eseguo mai “prove:” se lo facessi, non solo ingannerei il mio pubblico nel perseguimento di uno standard preciso e prefissato, ma non potrei nemmeno aprirmi a possibilità che esistono al di fuori della mia azione.

3. La tua arte si muove tra sensorialità, onirico e metafisico. Come nasce una tua performance e qual è il processo creativo che la guida?

Nello yoga la coscienza non è solo sveglia (jagrat), ma sognante (swapna) e dormiente (sushupti). Spesso immagini o suggestioni mi pervengono durante il sogno, durante la fase ipnopompica, cioè quella che ci conduce dal sonno alla veglia, durante la meditazione mattutina, o anche durante la giornata, quando mi trovo di fronte a momenti particolarmente poetici che mi incantano. Sono situazioni in cui le onde cerebrali si trovano non in Beta (stato di veglia), ma in Alfa (stato ipnagogico, cioè verso l’addormentamento) o in Theta (sogni). Una volta recuperato il materiale, l’ispirazione, la visione, procedo ad elaborarlo coscientemente. Un giorno, quando ero a Singapore, e mi stavo preparando una tazza di caffè, ho notato come lo sciroppo al cioccolato bianco cadeva nella tazza di vetro: la lentezza con cui scendeva sembrava rallentare i veloci ritmi di gravità, e dilatare il momento. Sono rimasta incantata a guardare la discesa. In quel momento, come una folgorazione, ho ricevuto l’ispirazione per una performance che ho poi presentato a The Arts House (il vecchio parlamento) di Singapore nel 2013: sdraiata a terra, ho tenuto una lastra di vetro (120cmx30cm), sulla quale avevo versato della salsa di melassa. Non sapevo quanto ci avrebbe impiegato la salsa a raggiungere la mia bocca aperta. L’ho scoperto insieme al mio pubblico, che è rimasto con me per 45 minuti, ed è rimasto egualmente incantato.


4. Il pubblico è chiamato a partecipare attivamente a Februare. Quale tipo di esperienza ti auguri che i partecipanti possano vivere?

Ancora prima dell’inizio della performance formale, il pubblico si troverà di fronte ad una scelta: per accedere alla prima parte della performance (CRIPTA), il pubblico curioso deve necessariamente partecipare in prima persona. Non ci saranno testimoni, solo partecipanti. Saremo in una sala chiusa per 20 minuti e faremo qualcosa. Chi decide di non partecipare, potrà dirigersi verso la sala centrale; ci sarà una clessidra da girare quattro volte. A quel punto, inizierà la seconda parte della performance nella quale presenterò tre riti (FERALIA, TACITA, NOVUS) ispirati da alcuni versi de I Fasti di Ovidio. Nella prima parte mi auguro che i partecipanti – investendo con sincerità nelle sperimentazioni proposte – possano avvicinarsi all’idea di atto poetico jodorowskiano (quello che diventerà la base della psicomagia), un gesto simbolico di rottura con la realtà ordinaria nella quale ci si trova spesso intrappolati, in vista di una rinascita all’interno del ciclo naturale del calendario dell’anno tropico. Nella seconda parte, la partecipazione immaginata sarà meno evidente, ma attraverso una serie di inviti, suggestioni ed immagini poetiche, auspico un coinvolgimento sensoriale ed emotivo purificatorio. L’arte d’altra parte può essere un alleato prezioso nel sondare gli angoli più reconditi del nostro essere in questa vita. In ogni caso, mi auguro che ci sarà sufficiente tempo ed interesse per un incontro post-performance per condivisioni e domande. La restituzione dei partecipanti è un’importante fase della comunicazione artistica, troppo spesso trascurata dal mondo dell’arte.


L’evento conclusivo di IOSONOVULNERABILE di SERGIO MARIO ILLUMINATO si svolgerà martedì 11 febbraio alle ore 10.00, presso la Sala Conferenze di Villa Altieri (Viale Manzoni 47 – Roma) in un incontro conferenza alla quale parteciperanno studenti, associazioni del territorio e istituzioni: un’occasione per condividere le storie personali e comunitarie sul tema della vulnerabilità. Durante la giornata sarà presentato il catalogo di ‘iosonovulnerabile’ e il libro ‘Il dilemma dell’Aragosta’ di Stefano de Matteis per la Meltemi Editore.

Barbara Lalle

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