Oggi, il D Day per Giorgia Meloni alla Camera per la mozione di sfiducia relativa al falso in bilancio della società Visibilia

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Il terzo per la ministra del Turismo che oggi, alla Camera, affronterà, di nuovo, la prova dell’Aula. Nel pomeriggio i deputati voteranno l’ennesima mozione di sfiducia nei confronti dell’esponente di Fratelli d’Italia, rinviata a giudizio per falso in bilancio nell’inchiesta sulla società Visibilia. E in bilico per quello più pesante – per truffa all’Inps – che si teme arrivi a maggio. A chiederne le dimissioni sono le opposizioni. Dal M5s – che ha lanciato la proposta, sottoscritta poi da Pd, Avs e Italia viva – fino ad Azione che, pur non avendola firmata, assicura che voterà a favore.

Una doppia sfida al governo che si gioca sul filo delle ostilità con la magistratura, che la maggioranza non ha mai nascosto. E focalizzate sulla riforma della separazione delle carriere, in discussione al Senato, assegnata alla commissione Affari costituzionali diretta dal fedelissimo della premier Alberto Balboni. Una partita che la maggioranza traina compatta, anche se forse servirà un referendum costituzionale per confermare le modifiche. Nel breve, invece, pesano lo sciopero della magistratura contro la riforma della giustizia (confermato giovedì) e l’udienza (prevista domani) della Corte di giustizia europea, chiamata a esprimersi su quali siano i Paesi sicuri sul fronte dell’immigrazione, dopo le tre bocciature subite dal governo Meloni sui trattenimenti dei migranti nell’hotspot aperto in Albania. Sullo sfondo, ma più lontano, il confronto tra Giorgia Meloni e il presidente dell’Associazione dei magistrati, Cesare Parodi, atteso il 5 marzo a Palazzo Chigi.

Su Santanché la difesa sembra d’ufficio e condizionata – si teme – al prossimo eventuale rinvio a giudizio. Così almeno appare tra quei meloniani che, a taccuini chiusi, ammettono di non condividere l’ostinazione della ministra a non lasciare l’incarico. Ministra che confida nello stesso trattamento che maggioranza e Fdi in particolare hanno riservato solo pochi giorni fa al sottosegretario Andrea Delmastro. E che il sostegno sia inevitabile, ma di circostanza, si deduce dal fatto che nessun big del centrodestra interverrà per le dichiarazioni di voto in Aula. La scelta dovrebbe cadere, invece, su deputati che fanno parte della commissione Giustizia. E’ il caso del penalista Andrea Pelliccini per Fratelli d’Italia, di Enrico Costa per Forza Italia e della leghista Ingrid Bisa. Al contrario, per i 5 Stelle, la parola andrà a Giuseppe Conte, a rivendicare probabilmente la paternità della sfiducia. In aula ci sarà pure Elly Schlein per il Pd, mentre nel centrodestra stavolta le presenze dovrebbero essere più numerose rispetto a due settimane fa. Allora c’erano due ministri e una decina di parlamentari di maggioranza. In tutto, in aula. Stavolta la ministra dovrebbe essere meno sola. E pronta a difendersi con una replica che non c’è stata il 10 febbraio scorso quando, finita la discussione a Montecitorio, si alzò e andò via. Tra le proteste delle opposizioni che urlarono “Vergogna!”. Nel frattempo la ministra ha passato la giornata a Milano e, in mancanza di impegni nell’agenda, forse limando il suo intervento in Aula. Dovrebbe arrivare nella Capitale al massimo in mattinata.

Il ‘cloù sarà nel pomeriggio, quando a Montecitorio la ministra prenderà la parola per respingere le accuse nel procedimento per falso in bilancio sul caso Visibilia, in attesa dell’esito del processo nel quale è indagata per truffa aggravata ai danni dell’Inps.

Saranno da monitorare i voti a sostegno ma l’invito ai parlamentari della coalizione è quello di essere presenti nell’Emiciclo. «C’è chi potrebbe inviare un segnale non venendo in Aula», ipotizza infatti qualcuno nel centrodestra. La chiamata è nominale, da qui l’appello alla compattezza.

Per quanto riguarda il ministro della Giustizia – nel mirino delle opposizioni per il caso Almasri – il centrodestra dovrebbe riproporre lo stesso ‘schemà utilizzato per la ministra del Turismo: nessuno dell’alleanza dovrebbe prendere la parola in Aula. «Anche per non prestare il fianco alle polemiche», il ragionamento. E non sarebbe prevista alcuna replica da parte del Guardasigilli.

L’intenzione è quella di non riaprire il fronte sulla vicenda del generale libico, con l’opposizione che, tra l’altro, è tornata a criticare il governo per la vicenda ‘Paragon’.

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