A meno di 48 ore dalla proposta di cessate il fuoco avanzata da Kiev e Washington, il Cremlino ha risposto alla sua maniera. L’esercito russo ha annunciato la riconquista di Sudzha, cittadina strategica nella regione di Kursk che le forze ucraine avevano occupato la scorsa estate. Questo rovesciamento del fronte potrebbe obbligare l’Ucraina a un ritiro definitivo dall’area, privandola di una possibile pedina di scambio nei futuri negoziati. Ma per Vladimir Putin la «cessazione del conflitto» rimane subordinata all’andamento della situazione «sul terreno».
Nel balletto diplomatico, Mosca mantiene una posizione ambigua: non è né “sì” né “no”. Il Cremlino si dice favorevole a una tregua, ma precisa che questa deve essere «tale da portare a una pace a lungo termine e affrontare le cause di fondo del conflitto». Nel lessico della diplomazia russa, una simile affermazione è più uno spiraglio che la vera luce in fondo al tunnel.
Nel frattempo, Donald Trump, dopo aver incontrato il segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha definito «molto promettente» la dichiarazione di Putin, avvertendo però che si tratta di un’apertura «non completa». «Sarebbe un momento molto deludente per il mondo se la Russia rifiutasse un piano di pace», ha aggiunto il presidente americano.
Ma Volodymyr Zelensky non si fida. «Il dittatore russo Vladimir Putin vuole respingere la proposta degli Stati Uniti di un cessate il fuoco di 30 giorni con l’Ucraina. Per riuscirci, pone richieste impossibili», ha dichiarato il presidente ucraino, leggendo nelle condizioni imposte da Mosca una sua resa.
Mentre gli Stati Uniti hanno imboccato energicamente la via della riappacificazione, l’Italia si trova a dover mantenere un equilibrismo improbabile. Da una parte, infatti, l’impossibilità di sfilarsi completamente dai partner europei, che puntano a una contrapposizione frontale con la Russia. Dall’altra il buongusto di non cambiare postura sull’Ucraina dalla sera alla mattina. Due fattori, tuttavia, che rischiano di scontentare tutti. Il governo Meloni e la presidenza Mattarella hanno sempre sostenuto Kiev. A stupire Mosca è stato l’attivismo e lo zelo con cui l’Italia si è voluta schierare tra i Paesi più oltranzisti. Un inedito nelle relazioni bilaterali, che è sfociato nei reciproci attacchi tra il Quirinale e il Cremlino. Già a febbraio Mattarella, in visita a Marsiglia, aveva paragonato la Russia al Terzo Reich, provocando l’ira di Mosca, condita dai consueti attacchi hacker. “Invenzioni blasfeme” e “parallelismi oltraggiosi” erano state alcune delle espressioni utilizzate da Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, per definire le dichiarazioni del presidente della Repubblica.
Le tensioni sono aumentate in seguito alla recente visita a Hiroshima del capo dello Stato. In tale occasione Mattarella ha accusato Mosca di una “pericolosa narrativa” riguardo il possibile utilizzo di armi nucleari. Una narrazione definita di una “sconsideratezza inquietante”. Parole che hanno nuovamente provocato la reazione della Federazione Russa, sempre nella persona della Zakharova. “È una bugia, non è vero, è un falso, è disinformazione. Di queste parole bisogna rispondere”, ha continuato la portavoce, che ha bollato come menzogna l’affermazione del presidente della Repubblica. Queste dichiarazioni, a loro volta, hanno portato Tajani a convocare l’ambasciatore russo a Roma, Aleksej Paramonov. Senza, tuttavia, che ciò abbia placato Mosca. Facendo così, secondo la Zakharova, l’Italia “ha solo attirato maggiore attenzione” sui suoi problemi.
“Perché una tale reazione? – ha dichiarato Zakharova in un’intervista – Apparentemente perché abbiamo di nuovo colpito il cuore del problema: abbiamo colto la stessa persona a mentire”. Secondo la portavoce non esistono dichiarazioni rese da alti esponenti della Federazione interpretabili nel senso denunciato da Mattarella.
“Non hanno nulla con cui difendersi – ha continuato – e quindi hanno deciso di attaccare. Ma lo hanno fatto invano. In primo luogo, hanno solo attirato più attenzione sui loro problemi. E in secondo luogo, lo scoprirete più avanti”.
Vladimir Putin potrebbe accettare un cessate il fuoco temporaneo e parziale in Ucraina, ma al Cremlino non si aspettavano che Trump agisse in modo così favorevole alla Russia. E potrebbero esagerare con le richieste, allontanando così la prospettiva di una tregua”. Alexander Baunov, ex diplomatico russo, oggi accademico in esilio, è quasi ottimista. Non solo sulla possibilità che in Ucraina le armi tacciano, almeno per un po’.
Il Cremlino è influenzato da quel che fa Trump. Il presidente americano sta andando oltre le aspettative più ottimistiche di Mosca sul suo operato. Questo può comportare un problema: la leadership russa, rischia di perdere il senso del limite e chiedere troppo.
Fatto sta che dalla situazione sul campo, dal comportamento delle forze armate russe Mosca non sembra interessata a una tregua parziale che fermi droni, missili e operazioni navali.
Facendo per la Russia molto più di quanto Mosca si aspettasse, Trump ha alimentato un’inusitata soddisfazione tra le mura del Cremlino. Sta proponendo una nuova visione globale, forse per sedurre Putin: offre una gestione condivisa del mondo, un ordine internazionale che consenta alla Russia di avere più spazio, soprattutto in Europa. Questo potrebbe portare Mosca ad accettare una tregua: il conflitto in Ucraina diventerebbe un episodio locale della missione di Putin, cioè restituire grandezza alla Russia.
Trump propone una visione in cui gli Stati Uniti potrebbero ridurre il loro potere, permettendo alla Russia di guadagnare influenza. È ciò che il regime russo persegue da anni. Fatto sta che oggi Trump non vede Putin come un nemico visto che i due condividono un’ideologia anti-liberale, anti-europea e scettica verso la difesa delle minoranze. Auspicano un “condominio” tra grandi potenze, che non si considerano avversarie. Sia chiaro, non esiste un’alleanza, c’è solamente una vicinanza ideologica e personale. Trump odia le alleanze: ha minato la Nato, sostituito il Nafta, abbandonato l’accordo di Parigi sul clima. Odia gli obblighi multilaterali e preferisce trattare con gli Stati singoli”.
Trump non segue una logica tradizionale. Come Nixon negli anni ’70, vorrebbe dividere i suoi rivali. Nixon riconobbe la Cina comunista per indebolire l’Urss. Trump vuol rompere l’asse Pechino-Mosca per contenere la Cina. Ma c’è una differenza cruciale: all’epoca, Cina e Urss erano già in rotta di collisione. Oggi, invece, Russia e Cina sono quanto mai vicine. È proprio questo è l’ostacolo principale alla strategia di Trump. Quando si tratta di strategie di ampio respiro, Trump dice quello che pensa veramente. Anche se è spesso impreciso nei numeri e nei dettagli, sulle questioni strategiche è coerente. Il ragionamento di Trump è chiaro: della Nato si può fare a meno perché sfrutta gli Stati Uniti e il loro potere economico e militare. Trump rifiuta ogni vincolo multilaterale. Anche qui è evidente un parallelo con Putin, da sempre scettico verso le istituzioni multilaterali che impongono alla Russia di trattare su un piano di parità con Stati più piccoli. Trump e Putin condividono questa mentalità: entrambi vedono i loro Paesi come eccezionali, superiori agli altri, non vincolabili da regole comuni”.
C’è poi che la tanto temuta “potenza militare” russa va ridimensionata: negli ultimi due anni, in Ucraina ha conquistato appena il 4% di territorio, con perdite enormi.
Alcune questioni devono ancora essere affrontate per una tregua in Ucraina e la Russia ha ancora bisogno di “consultazioni con gli Usa”, probabilmente con una telefonata tra i presidenti Vladimir Putin e Donald Trump. Lo ha detto lo stesso Putin. Una tregua in Ucraina “dovrebbe essere tale da portare ad una pace a lungo termine e affrontare le cause di fondo del conflitto”.