Matteo Renzi in ‘L’Influencer’ sostiene che la premier non è una ‘Underdog’ ma una ‘raccomandata’. Forse gli brucia ancora la ‘norma anti-Renzi’

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Matteo Renzi, nel suo nuovo libro ‘L’Influencer’, definisce Giorgia Meloni ‘la più raccomandata della Seconda Repubblica’, impugnando la narrazione che la vede come outsider della politica. Secondo l’ex premier, la sua ascesa è stata possibile grazie all’appoggio di leader influenti, senza mai dover conquistare preferenze dirette. Una irreale e malefica la ricostruzione renziana. Chissà, forse a Renzi ancora brucia la norma detta ‘anti-Renzi’, proposta da Fratelli d’Italia e inserita nella Legge di Bilancio 2025, che ha riacceso i riflettori su un tema tanto complesso quanto controverso, ovvero, la necessità di ‘difendere’ il Parlamento e il lavoro dei parlamentari italiani dal rischio di influenze esterne.

Per Italia Viva e Matteo Renzi la norma sulle consulenze dei parlamentari al di fuori dell’UE è una norma ad personam, ovvero, scritta per colpire politicamente il senatore di Italia Viva in passato già finito al centro del mirino per le sue conferenze in Arabia Saudita. L’impianto finale della norma, ribattezzata anti-Renzi, prevede lo stop di tutte le consulenze retribuite con aziende e organismi esterni all’UE per membri del Governo, parlamentari e presidenti di regione. E’ possibile per i parlamentari chiedere una deroga in caso di compensi inferiori ai centomila euro annui.

L’estratto dal libro del leader di Italia Viva arriva nel pieno della bufera sul caso Delmastro-Nordio che vede il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro che fa dichiarazioni ‘anomale’ sulla riforma della Giustizia, come scritto dal Foglio in un articolo in cui si parla di «incredibile confessione» e si riferiscono quelli che sarebbero stati i contenuti di una conversazione «confidenziale». Delmastro parla di un ‘colloquio informale’, sulla riforma della giustizia», chiarendo sia di considerare «ottimo» l’impianto della riforma sia che la maggioranza è compatta e decisa a procedere spedita. Lo stesso ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha chiuso l’episodio parlando di «enfatizzazione giornalistica» e confermando che si «andrà avanti con la massima celerità».

Il Foglio nella sua ricostruzione aveva riferito che per Delmastro «l’unica cosa figa della riforma è il sorteggio dei togati al Csm, basta». Tutto il resto, insomma, sarebbe stato non apprezzabile. Una ricostruzione sulla quale l’opposizione chiede le dimissioni del “reprobo” di turno. La sinistra, oltre all’idea di una spaccatura profonda in seno a Largo Arenula, ha cavalcato anche quella di una volontà dell’esecutivo di assoggettare i pm al potere politico o di togliere loro il potere di impulso alle indagini. Tema rilanciato anche dal segretario dell’Anm, Rocco Maruotti, per la quale «con le dichiarazioni del sottosegretario Andrea Delmastro, il governo ha calato la maschera».

Ritornando a Matteo Renzi nel suo nuovo libro evidenzia, come riportato da Open, che Giorgia Meloni sia stata lanciata nella politica nazionale non grazie a una battaglia contro il sistema, ma proprio grazie al sostegno dei leader dell’epoca. “Lei viene piazzata giovanissima da Fini alla vicepresidenza della Camera esattamente come Di Maio veniva piazzato da Grillo nello stesso ruolo”, scrive l’ex premier. Sottolineando il parallelismo tra il percorso della leader di Fratelli d’Italia e quello dell’ex capo politico del Movimento 5 Stelle.

Anche il suo ingresso al governo come ministra della Gioventù nel 2008 è – per Renzi – il frutto di un sistema di cooptazione: “Meloni è, nella storia, la più giovane ministra, arrivata in quel ruolo senza aver preso un solo voto di preferenza, ma solo grazie al sostegno poderoso di Berlusconi e di tutto il gruppo dirigente di Alleanza Nazionale”. Un’affermazione che smentirebbe l’idea che l’attuale premier abbia conquistato il potere lottando contro gli ostacoli imposti da un ambiente maschile ostile.
L’ex premier accusa la premier di non aver mai sfidato il sistema quando questo era forte, ma di essersi mossa solo quando i suoi leader di riferimento iniziavano a perdere potere. “Accetta di mettersi contro Berlusconi e Fini solo quando i due litigano e iniziano la loro parabola discendente”, scrive Matteo Renzi. Facendo notare come la scissione da Forza Italia sia avvenuta in un contesto in cui il partito di Berlusconi era già in difficoltà.

Secondo il leader di Italia Viva, la rottura con Forza Italia è stata meno indipendente di quanto raccontato. “La scissione che fa – raccontata come un atto di coraggio contro Forza Italia – è in realtà pagata da Forza Italia. Bonifico, trasparente”, afferma.

Dunque, conclude descrivendo il governo Meloni come un sistema chiuso, più simile a una famiglia che a un partito politico. “Le scelte del Paese si decidono più nelle vacanze in masseria che non nei vertici a Palazzo Chigi”, accusa.

La profonda crisi del 2011 era nell’aria da tempo. Il 29 luglio 2010 l’ufficio di presidenza del Popolo delle libertà – organismo dove era presente anche Giorgia Meloni – aveva elaborato un documento di sfiducia nei confronti di Gianfranco Fini, con l’adesione della maggioranza assoluta dei componenti in un passaggio che preannunciava una scissione traumatica. La decisione dei vertici del partito fondato da Silvio Berlusconi aveva decretato di fatto l’espulsione del fondatore di Alleanza nazionale dal PDL.
Giorgia Meloni – e il gruppo a lei più vicino – rimane nel Partito del le libertà allontanandosi definitivamente da Gianfranco Fini, il segretario che l’aveva voluta prima a capo di Azione giovani e poi vicepresidente della Camera.

Giorgia Meloni, nella giornata conclusiva del congresso nazionale de La Destra, il 13 novembre 2011, giorno successivo le dimissioni di Silvio Berlusconi, come ministra della Gioventù decise di intervenire: “Per me è un onore partecipare al vostro congresso e perché in giornate come queste è inutile dire che siete una straordinaria boccata d’ossigeno. Sono giornate nelle quali si rischia di perdere il senso del proprio impegno politico, stretti come siamo tra le pressioni dei mercati, le debolezze di qualcuno, i nostri principi più profondi, le questioni legate alla sovranità e alla democrazia. Nei giorni in cui i poteri forti, che ormai governano l’Europa e non più solamente l’Italia, riescono finalmente ad abbattere il loro antico nemico Silvio Berlusconi, io penso che noi dobbiamo avere il coraggio di dirci le cose come stanno. Stanno accadendo delle cose che francamente non avremmo mai voluto vedere e perché a me fanno molta tristezza quelli che si riempiono la bocca con concetti tipo sovranità nazionale, interesse della patria, tutela dei più deboli, e poi pur di restare in Parlamento sono pronti a governare con chiunque e approvare qualunque cosa il duo franco-tedesco imponga loro di approvare. Io non ho fatto vent’anni di politica per mettermi in fila dietro ad un banchiere scelto dai mercati”.

Il riferimento era a Mario Monti, il nuovo premier incaricato dal Presidente della Repubblica come successore al dimissionario Silvio Berlusconi.

“In questi anni ho capito che i sacrifici di quelli che per sventolare una bandiera tricolore sono finiti in un ghetto o in un cimitero non sono stati vani. Sta cominciando una nuova storia, tutta da scrivere, so per certo in quale parte del campo mi trovo, e cioè con la mia gente e non a fare inciuci con personaggi del calibro di Furio Colombo, con il popolo e non con le banche, con gli interessi dell’Italia e non gli interessi di Francia e Germania. Mi troverete come sempre a destra, perché oggi come ieri il mio obiettivo, il mio impegno resta quello di dare una voce e una rappresentanza ad un mondo che non può restare sottotraccia. Oggi come ieri è necessario che sia visibile e audace in Italia un vero e moderno conservatorismo, e cioè conservazione per terra, spirito e tradizione. Non è dissimile alla vocazione che avete voi, per le ragioni della vostra fondazione sono chiari gli strappi che si erano consumati dentro Alleanza nazionale. Voglio dire a voi, a Francesco Storace, a Teodoro Bontempo che ci saremo ancora e spero che si sviluppino le condizioni per vederci di nuovo uniti”.

Quel discorso fu una sorta di linea tracciata per il futuro cammino di Giorgia Meloni e del gruppo più vicino a lei nel Partito delle libertà, dopo l’uscita di Gianfranco Fini e la caduta del governo Berlusconi. Passano pochi mesi e matura la nascita di Fratelli d’Italia.

Il 28 dicembre 2012, davanti al notaio romano Camillo Ungari Trasatti, Guido Crosetto, Ignazio La Russa e Giorgia Meloni fondano l’associazione «Fratelli d’Italia Centrodestra nazionale». La prima sede è in via Giovanbattista Vico, a pochi passi da piazza del Popolo, il luogo storico dei comizi di Giorgio Almirante. Unisce tre anime: quella di Crosetto, che veniva dalla militanza giovanile nella Democrazia cristiana, passato poi a Forza Italia alla fine degli anni Novanta; quella dello storico «colonnello» di Alleanza nazionale Ignazio La Russa, il quadro dirigente di Destra protagonista che fin dal 2004 aveva puntato le carte, insieme a Maurizio Gasparri, su Giorgia Meloni.

Quando nasce Fratelli d’Italia nel 2012 vi fu un beneplacito di Berlusconi. Lui ha sempre voluto una destra che poteva in qualche modo controllare ed essere sempre lui il centro. La Lega era ancora un partito in forte crisi, serviva un contenitore che fosse in grado di raccogliere consensi a destra. Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Guido Crosetto erano d’altra parte tre politici rimasti fedeli al cavaliere fino all’ultimo, decisamente lontani da Gianfranco Fini. Forza Italia ha così messo mano al portafogli dando in dote al nuovo partito 750 mila euro, versati nel 2013. Una cifra superiore a quella raccolta con il tesseramento (131.771 euro nel 2013) e al contributo ricevuto dallo Stato (442.868 euro).

In realtà c’è del vero nel sostegno dato da Forza Italia al nuovo partito fondato da Giorgia Meloni ma va semplicemente inquadrato come sostegno necessario e utile alla costituzione del centrodestra, anche in virtù dell’impegno politico e programmatico promosso da Meloni, Crosetto e Larussa.

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