Sudan, 2 anni di guerra: la crisi dimenticata più grave del mondo | L’allarme di COOPI

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«Quando è scoppiata la guerra, abbiamo dovuto affrontare grandi sofferenze per ottenere cibo e acqua potabile. La mia famiglia doveva comprarla dai carretti trainati dagli asini, ma era molto costosa e non sufficiente: consumavamo solo una tanica da 20 litri al giorno. Quando abbiamo finito i soldi, abbiamo smesso di lavarci e di lavare i vestiti». A parlare è Abu Hassan, abitante della località di Tawilla in Sudan, che all’inizio del conflitto è stato costretto a fuggire dal suo villaggio con la moglie e i 6 figli. «Abbiamo lasciato le nostre case, insieme ad altre famiglie, e abbiamo percorso 61 km a piedi, senza acqua né cibo. Dopo due giorni di sofferenza sulla strada, siamo arrivati a El Fasher, dove abbiamo trovato molte persone sfollate nella scuola di Tombasi e abbiamo deciso di restare». Abu Hassan è una delle 125 milioni di persone che COOPI, Cooperazione Internazionale, ha supportato in sei decenni di attività in 70 Paesi del Mondo, con più di 3mila progetti e l’impiego di 5.400 operatori espatriati e 68mila operatori locali.

Dallo scoppio della guerra, il 15 Aprile 2023, in Sudan oltre 12 milioni di persone risultano sfollate e tra queste quasi 4 milioni[1] hanno cercato rifugio oltre confine, in paesi come Egitto, Ciad e Sud Sudan, che già affrontano forti pressioni umanitarie. Quasi un terzo della popolazione sudanese è sfollato e la metà di loro sono bambini[2]. Ad aggravare il quadro, si aggiungono la crisi alimentare, che colpisce 24 milioni di persone, e l’emergenza idrica, che costringe 270mila persone[3], inclusi 130mila bambini, ad avere difficoltà a reperire acqua potabile. Anche i servizi di base sono compromessi: nelle zone più colpite dal conflitto, solo il 25% delle strutture sanitarie sono rimaste operative, mentre la mancanza di acqua e le condizioni igieniche precarie stanno favorendo la diffusione di malattie come colera, dengue e malaria[4]. «In Sudan è in corso una delle più gravi emergenze umanitarie del nostro tempo. – sottolinea Ennio Miccoli, Direttore di COOPI Cooperazione Internazionale, organizzazione umanitaria presente nel Paese da oltre vent’anni. – Nonostante questo, in un contesto globale segnato da conflitti ad alta intensità, quello sudanese è rimasto ai margini dell’attenzione internazionale, pur avendo effetti devastanti su scala nazionale e regionale.»

In due anni il conflitto ha causato quasi 29mila vittime, di cui 7.500 civili[5], e ha generato un’escalation drammatica di violenze contro i minori, con un aumento del 480% delle gravi violazioni sui bambini[6].

L’INTERVENTO DI COOPI IN SUDAN. Nel 2024, gli operatori di COOPI hanno realizzato 10 progetti a sostegno della popolazione, raggiungendo quasi 150 mila persone negli Stati del Nord Darfur, di Gedaref (dove si trova il campo rifugiati di Tuneydba e Um Raquba), di Khartoum, del Nord e del Fiume Nilo. «Siamo presenti in Sudan dal 2004 e in 21 anni abbiamo portato avanti 119 progetti, sostenendo 4milioni e 200 mila persone. In questo momento di emergenza, abbiamo riorganizzato la nostra presenza nel Paese per rispondere in modo più efficace alla crisi in corso – spiega Ennio Miccoli – ci siamo concentrati soprattutto nel garantire acqua potabile e nel distribuire beni di prima necessità, come contenitori per l’acqua, utensili da cucina e materiali per costruire ripari temporanei, che sono indispensabili per la vita nei campi profughi».

In particolare, nel distretto di Mellit, dove vivono 50mila persone sfollate ed è in corso una carestia, COOPI ha avviato il progetto “Azione precoce di risposta integrata alla crisi alimentare nello Stato del Nord Dafur”, con l’obiettivo di garantire l’accesso a sementi agricole e acqua potabile. L’organizzazione ha, inoltre, distribuito capre alle famiglie vulnerabili, in particolare quelle a guida femminile tra gli sfollati interni.

«Nonostante le difficoltà di accesso a Mellit, una zona fortemente isolata, COOPI, insieme ai suoi partner locali, ha continuato a fornire aiuti umanitari, raggiungendo sia le persone sfollate che le comunità ospitanti, duramente colpite dal conflitto e dalla carestia». – sottolinea Miccoli.

COOPI, 60 ANNI DI IMPEGNO NELLE CRISI INVISIBILI.

Quella in Sudan è solo una delle 50 guerre attive nel 2024, anno che ha visto un incremento del 25% degli episodi violenti rispetto al precedente e oltre 240mila vittime[7], il numero più alto registrato dal 2019. Nei primi tre mesi del 2025 sono già morte, a causa di guerre e conflitti, 50mila persone e si prevede che le vittime continueranno ad essere più di 20mila al mese[8], mentre milioni di persone vivranno in situazioni di grave emergenza e saranno costrette ad abbandonare le proprie case. «Attualmente sono 305 milioni le persone che nel mondo hanno bisogno di aiuto umanitario[9], ma le loro necessità restano spesso inascoltate, se non del tutto sconosciute – sottolinea Ennio Miccoli – Ci sono molte aree del mondo in cui la violenza e le crisi umanitarie rimangono nell’ombra. Paesi come Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Ciad, Repubblica Centrafricana e Libano affrontano quotidianamente devastazioni, carestie ed emergenze umanitarie, con un impatto devastante».

COOPI, di cui quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario, è presente in 33 paesi del Mondo e attua più di 200 progetti di sviluppo ed emergenza. «Con COOPI da 60 anni siamo al fianco delle popolazioni colpite dalle crisi umanitarie, anche quelle ‘invisibili’ – sottolinea Ennio Miccoli, Direttore dell’organizzazione umanitaria – Il nostro approccio pragmatico è ciò che permette all’organizzazione di accompagnare le persone, di supportarle e di collaborare con loro da vicino, essendo presenti nei Paesi, in alcuni casi da decenni. Il nostro obiettivo è accompagnare le comunità verso percorsi di sviluppo: anche quando vengono interrotti da crisi improvvise, COOPI rimane al loro fianco, come facciamo in Repubblica Centrafricana, dove siamo presenti da 51 anni, o in Repubblica Democratica del Congo, dove operiamo dal 1977. Realizzare tanti progetti in così tanti Paesi è significativo per questa ragione: per generare, progetto dopo progetto, un impatto positivo sempre maggiore e per un numero via via crescente di persone e di comunità».

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