Esordio alla regia per Luca Zingaretti: un film delicato, intimo, che racconta la forza di ricominciare

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Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Roberto Buono il seguente articolo che, con piacere, di seguito pubblichiamo:

Luca Zingaretti firma il suo primo lungometraggio da regista con “La casa degli sguardi” (tratto dall’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli), film presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma (ero personalmente presente alla Prima Assoluta il 24 ottobre 2024 in Sala Petrassi, ed in quell’occasione gli feci i complimenti, rinnovati ora alla proiezione al Multisala Jolly il 16 aprile 2025). Una prova d’autore misurata e sincera, che sceglie il silenzio, lo sguardo, il pudore delle emozioni per raccontare la complessità del dolore e la forza sottile dell’amore che resta.

Accanto alla macchina da presa, Zingaretti sceglie anche di interpretare un ruolo centrale: quello di un padre appartenente alla working class, saldo nei suoi principi, che cerca di restare accanto a un figlio fragile e autodistruttivo, offrendo presenza e calore come unico argine alla deriva. Marco, interpretato da un intenso Gianmarco Franchini, è un ventenne dilaniato da una sensibilità troppo acuta. Dopo aver toccato il fondo tra alcol e dipendenze, viene affidato a una cooperativa di pulizie attiva all’interno dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù. Un contesto che inizialmente percepisce come insostenibile, ma che finirà per offrirgli un nuovo modo di guardare alla vita.

Il film è scritto da Stefano Rulli e Gloria Malatesta e conta su un cast corale che include, oltre a Zingaretti e Franchini, anche Federico Tocci, Chiara Celotto, Alessio Moneta, Riccardo Lai, Marco Felli, Christian Di Sante e Filippo Tirabassi.

«La casa degli sguardi è un film che parla di sofferenza – dice Zingaretti –, che però è un ingrediente necessario per la felicità, perché dolore e gioia sono fatti della stessa materia, come ha detto oggi nella presentazione al Multisala Jolly a Roma, citando Friedrich Nietzsche.

Un film sulla poesia, sulla bellezza e sulla loro capacità salvifica. Un film che parla di genitori e figli e della capacità di stare, come atto di amore più puro. Un film sull’amore e l’amicizia, che possono farti ritrovare la strada di casa. Un film sul lavoro, che radica e identifica, e sulle persone che lo nobilitano. Un film sulla vita, perché c’è sempre un motivo per resistere, sulla speranza e sulla capacità dell’uomo di risorgere. Nelle leggere questa storia, dove sono racchiusi tanti argomenti che mi appartengono e a cui tengo, mi sono sentito pronto per la mia prima regia cinematografica».

Lo stile registico riflette la sobrietà del racconto: privo di effetti estetizzanti, il film si muove con passo essenziale, privilegiando i silenzi, i primi piani, la gestualità minima ma carica di senso. La macchina da presa resta costantemente vicina al protagonista, accompagnandone il disorientamento, la fatica, i piccoli gesti di ritorno alla vita. Il microcosmo dei personaggi secondari – dalla squadra di pulizie senza filtri, ma umanissima, ai piccoli pazienti che abitano l’ospedale – diventa parte integrante di un percorso di consapevolezza e riscatto.

Zingaretti guarda anche al proprio passato, riflettendo sul lungo percorso di Montalbano con una nuova maturità: «Mi considero una persona molto curiosa e la curiosità porta a esplorare territori diversi e altri aspetti del proprio lavoro. Sono quindi felice di offrire al pubblico un nuovo figlio, frutto della fatica di tante persone negli ultimi due anni e mezzo. Un’esperienza molto ricca che ora voglio godermi in ogni più piccolo momento».

Il personaggio del padre – un tranviere romano – è disegnato con affetto e realismo. Non è un eroe, ma un uomo che ha deciso semplicemente di esserci, anche senza gli strumenti giusti per affrontare l’abisso in cui sta sprofondando suo figlio.

«Oggi i giovani sono alle prese con un male di vivere enorme, superiore al nostro. Il mondo cambia velocemente e con lui i punti di riferimenti. Temo poi che il peggio debba ancora venire, non abbiamo fatto ancora i conti, infatti, con l’intelligenza artificiale che accelererà certi meccanismi, mentre riflessioni e regolamentazioni della politica e della filosofia procedono assai più lentamente. Questa generazione affronta difficoltà quasi insormontabili, ma al tempo stesso è molto più solida di quanto si potrebbe pensare. Mentre il ruolo della madre è legato alla natura e prevede un accudimento necessario, quello del padre cambia a seconda della società in cui viviamo. Nel film abbiamo a che fare con un padre molto moderno, crede in solidi principi etici e ha capito che il segreto della vita è quello di accontentarsi, di non andare a cercare altro. Fa il tranviere, ma questo non significa che non si goda ogni volta il percorso. La felicità per lui è qui e adesso. È un padre che ha deciso di stare accanto al figlio, perché questo è il suo modo di insegnargli a vivere. Un atteggiamento che dà i suoi frutti a lunga scadenza, ma più duraturi. Lui ha la capacità di stare e anche se non sa bene come affrontare il tormento del ragazzo, resta per accoglierlo ogni volta a braccia aperte e per tenerlo al caldo».

Al centro del film, la straordinaria interpretazione di Gianmarco Franchini – già apprezzato in Adagio di Stefano Sollima – dà corpo e anima a un personaggio fragile ma vivo, ferito ma capace di cambiamento: «Questo ragazzo non è solo bravo, ma ha un’anima e non ha paura di mostrarcela, la cosa di cui più si soffre la mancanza in questi anni. Gli sono stato molto addosso, e come lui tutti gli attori mi hanno restituito quello che desideravo filtrandolo attraverso la propria sensibilità.

Raccontando un ragazzo con un problema di alcool nel reparto pediatrico di un ospedale il rischio di essere ricattatori era dietro l’angolo. Da attore so riconoscere gli attori autentici, carnali, animali».
Il cinema di Zingaretti nasce da un’urgenza espressiva e da una visione del mondo in cui la bellezza resta ancora una possibilità di salvezza.

«La casa degli sguardi è il titolo del libro di Mencarelli da cui siamo partiti, un titolo da mantenere perché lo sguardo è quella cosa a cui non ti puoi sottrarre. Guardandosi negli occhi poi ci si impedisce di mentire. L’incontro di Marcolino con tanti sguardi lo aiuta a rimettersi in piedi e alla fine, anche se del domani non vi è certezza, a uscire dal suo tunnel».

Tratto dalla presentazione al pubblico Zingaretti al Multisala Jolly di Roma il 16 aprile – a cui ero presente – (proiezione delle 20.15):
“Volevo solo darvi un paio di informazioni che magari vi farebbe piacere sapere. Allora, innanzitutto, la prima faccio come quel tipo che si faceva la domanda e si dava la risposta. Tante persone in queste settimane che ho accompagnato il film in giro hanno chiesto, ma come mai sei voluto passare dietro a una macchina da presa? La risposta è che io ho una formazione teatrale. I miei primi quindici, diciotto anni li ho passati soprattutto in teatro. E a teatro chi racconta la storia, chi la porge al pubblico, è sempre l’attore. L’attore che, ovviamente dopo aver lavorato con il regista, ma a un certo punto andando in scena, è l’attore che la porge al pubblico. È lui che decide le pause, gli accenti, le sottolineature, e quindi è come se tesse il suo punto di vista sulla storia che racconta. Il regista invece al cinema è fondamentale, è lui che racconta la storia. Perché il regista è quello che decide dove mettere la macchina da presa e come metterla. E come metterla e dove metterla determina il punto di vista del narratore sulla storia. Allora mi hanno detto mi piacerebbe, dieci anni fa, provarmi dietro a una macchina da presa. E poi con gli anni questo desiderio è diventato un’urgenza anche perché mi scoprivo leggendo delle sceneggiature a chiedermi più come avrei girato quella scena piuttosto che come avrei interpretato quel personaggio. Allora ho detto forse dovresti veramente provarci. E stavo scrivendo un soggetto quando mi sono imbattuto in Daniele Mencarelli che è l’autore del film. Non mi sono imbattuto subito in questo film, in questo libro, ma in un altro libro che forse molti di voi conosceranno perché è stata tratta una fortunata serie Netflix che è Tutto Chiede Salvezza. Tutto Chiede Salvezza non mi fece venire delle suggestioni per poterla far diventare un film o una serie”
Regia di Luca Zingaretti.
Un film con Luca Zingaretti, Gianmarco Franchini, Federico Tocci, Chiara Celotto, Alessio Moneta. Cast completo
Genere Drammatico, – Italia, 2024, durata 109 minuti.
Uscita cinema giovedì 10 aprile 2025 distribuito da Lucky Red

Roberto Buono

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