Gen Z: la tendenza al “digital detox”

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Coloro che hanno abitato il mondo digitale così a lungo da rivelarne le mille contraddizioni e finzioni, hanno finalmente deciso di traslocare nel mondo reale. E come ogni trasloco, questo è un processo che richiede tempo, oltre che pazienza e tanto lavoro (visto che l’82% dei ragazzi soffre di dipendenza da smartphone), ma la voglia, sicuramente, non manca.

La generazione Z dice definitivamente basta e cerca un’alternativa guardando al passato: ecco che al posto degli “smartphone” tornano i “dumb-phones”, quelli con i tasti che, oltre a telefonare e mandare messaggi, sanno fare poco altro. I motivi di questa controtendenza che, per ora, riguarda soltanto la popolazione più giovane, sono da ricercare nel tema a cui questa generazione tiene moltissimo: la salute mentale.

Un adulto spende, in media, tra le 3 e le 4 ore al giorno davanti allo smartphone. Uno studio dell’università di Seoul dichiara che, negli adolescenti con una media di utilizzo giornaliero superiore alle 4 ore, si riscontra un’incidenza di problemi di salute mentale maggiore rispetto a chi non supera il limite critico. Basti pensare che tre anni fa, a pandemia quasi definitivamente conclusa, secondo uno studio di Eures, il 22% degli adolescenti intervistati utilizzava il cellulare per più di 8 ore al giorno. Una percentuale altissima, a cui lo studio coreano sopracitato associa alti livelli di stress, pensieri suicidari ed abuso di sostanze.

Non è stata individuata alcuna correlazione diretta tra l’utilizzo dello smartphone e le condizioni precarie di salute mentale; molti utilizzano lo “scrolling” compulsivo dei social per distrarsi, non pensare ai propri problemi e finire per non pensare affatto. Secondo un sondaggio dell’OMS, il 10% dei ragazzi perde completamente la percezione del tempo passato davanti al cellulare, finendo per passare ben più di 4 ore al giorno senza fare o pensare assolutamente nulla.

Il che significa arrivare ad abbassare la propria soglia dell’attenzione a poco meno di 8 secondi. Riusciamo a stare meno attenti di un pesce rosso, per intenderci. Come si può pretendere di seguire un’intera ora di lezione; studiare per ore senza alcun tipo di stimolo esterno; leggere o concentrarsi su un film con un’unica trama e soltanto pochi personaggi? Non si può, non rimanendo schiavi dei ritmi angoscianti del mondo digitale, sempre più costruito e finto.

Aitana Lopez è un’influencer generata dall’intelligenza artificiale con ben 350.000 followers su Instagram. L’agenzia che l’ha creata dichiara di averlo fatto per evitare di gestire i mille “capricci” delle influencer in carne ed ossa, quando si possono tranquillamente guadagnare 10.000 euro al mese senza particolari sforzi e con un impiego minimo di tempo: impossibile (se non dopo minuti di attenta osservazione) dire se si tratti di una persona o meno.

E come se si fosse risvegliata da un sogno (anche se i “dumb-phones” riguardano una piccola e ristretta nicchia di giovani), la Gen Z si è resa conto di non poter più continuare così. Ecco che torna al cinema (circa 8 ragazzi, tra i 18 ed i 25 anni, su 10 sono stati al cinema negli scorsi 3 mesi), ricomincia a leggere e prova, in ogni modo, a recuperare ogni pensiero perso dietro allo schermo.

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