“Il 9 maggio 1978, dopo 55 giorni di prigionia, le brigate rosse uccisero Aldo Moro: il terrorismo toccò allora il suo punto più alto di aggressione allo Stato. Proprio oggi celebriamo il Giorno della memoria per le vittime del terrorismo interno e internazionale e delle stragi per ricordare quanti sono stati uccisi, nell’esercizio delle proprie funzioni, per la loro lealtà al nostro Paese. Oltre a ricordare le vittime di quella stagione, e a esprimere vicinanza ai loro familiari, dobbiamo rinnovare l’impegno e batterci per i valori democratici in Italia come nell’Unione Europea. Proprio oggi si celebra la Festa dell’Europa: i Trattati hanno consentito di consolidare valori e principi costituzionali comuni, fondati sullo Stato di diritto e sul rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali. L’Ue costituisce oggi anche un presidio contro nuove possibili aggressioni, esterne ed interne, ai nostri sistemi democratici, incluso il terrorismo internazionale e il radicalismo”, scrive, in una nota, il presidente della I Commissione Affari Costituzionali della Camera Nazario Pagano.
Oggi pomeriggio la Facoltà di Scienze Politiche di Roma “La Sapienza” ricorda Aldo Moro, come suo docente e come politico. La prima parte sarà dedicata alle testimonianze dei suoi studenti ed assistenti di allora: aspetto qualificante ed intenso della vita dello statista. La seconda verterà sull’ultimo grande discorso di Moro, quello ai suoi gruppi parlamentari del 28 febbraio 1978. Un discorso per convincere una platea in partenza piuttosto perplessa, se non contraria, al nuovo salto di qualità che si stava prospettando, l’ingresso del Pci nella maggioranza.
Perché quel testo? Perché in esso sono racchiuse tre verità di fondo dell’agire politico.
La prima è l’affermazione della politica anzitutto come responsabilità verso l’intero Paese (un modo alto per intendere il divieto di mandato imperativo) e non come testimonianza intesa a rassicurare solo il proprio elettorale, a blandirlo con rigidità propagandistiche.
Una lezione contro l’eccesso di partigianeria che nei nostri tempi pare ancora più marcato e che sembra oggi per molti aspetti più una spinta dall’alto che il riflesso di effettive divisioni sociali, come invece appariva allora. Dice Moro “Di fronte a questa situazione vogliamo fare della testimonianza, cioè una cosa idealmente apprezzabile, rendere omaggio alla verità in cui crediamo, ai rapporti di lealtà che ci stringono al Paese, o vogliamo promuovere una iniziativa coraggiosa, una iniziativa che sia misurata, che sia nella linea che abbiamo indicato e sia pure nelle condizioni nuove nelle quali noi ci troviamo? Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità”.
La seconda è una verità che noi forse siamo portati a vedere in modo più forte oggi, con la crescita dell’Unione europea, nella quale i Governi nazionali sono sì responsabili di fronte ai loro Parlamenti e alle loro opinioni pubbliche, ma anche rispetto ai Governi che condividono con noi questo spazio politico. Questa è sempre stata la condizione della rinata democrazia italiana, solida anche grazie ai suoi legami europei ed atlantici. Il percorso verso la legittimazione piena del Partito Comunista che in quella legislatura, dopo aver accettato a costruzione europea ora aveva riconosciuto anche la giustezza della scelta atlantica era in atto, ma doveva scontare ancora riserve non del tutto ingiustificate, specie considerando la continuità del nome e del simbolo. Dice Moro: “Sappiamo che c’è in gioco un delicatissimo tema di politica estera, che sfioro appena, nel senso che vi sono posizioni che non sono solo nostre ma che tengono conto del giudizio di altri Paesi, di altre opinioni pubbliche con le quali siamo collegati, quindi dati di fatto obiettivi… e sappiamo che sono in gioco, in presenza di una insufficiente esperienza, quel pluralismo, quella libertà che riteniamo siano le cose più importanti del nostro patrimonio ideale che vogliamo ad ogni costo preservare”.
C’è infine una riflessione sui modelli di democrazia. Quello dell’alternanza va considerato superiore, ma la sua praticabilità è un obiettivo che può essere raggiunto solo dopo il pieno riconoscimento dell’invarianza delle collocazioni europea ed atlantica: “Sento parlare di opposizione, del gioco della maggioranza e dell’opposizione. Sono in linea di principio pienamente d’accordo: nel nostro sistema che è il migliore, anche se limitato ad un esiguo numero di Stati privilegiati. Ma immaginate cosa accadrebbe in Italia, in questo momento storico, se fosse condotta fino in fondo la logica della opposizione, da chiunque essa fosse condotta, da noi o da altri, se questo Paese dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili, fosse messo ogni giorno alla prova di una opposizione condotta fino in fondo?”.
Parliamo, e parlava Moro, di una ‘convergenze parallele che indicava una traiettoria politica che avrebbe dovuto portare al il cosiddetto compromesso storico tra la sinistra italiana e il centro democristiano.
Aldo Moro pensava a questo dal congresso di Firenze della Democrazia Cristiana del 1959, vertente sulla politica delle alleanze. L’affermazione secondo cui “in tale direttrice diviene indispensabile progettare convergenze di lungo periodo con le sinistre, pur rifiutando il totaltarismo comunista. La locuzione, in realtà, è il frutto di un’invenzione del 1960 di Eugenio Scalfari.
L’espressione presente nel linguaggio politico per tutti gli anni sessanta e settanta sel millenovecento, spesso utilizzata per descrivere il processo di avvicinamento tra DC e PCI, noto anche come compromesso storico.