Noto sondaggi: governo Meloni e ministri più e meno apprezzati

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L’istituto demoscopico Noto Sondaggi ha condotto un’indagine sul grado di fiducia degli italiani nei confronti dei ministri del Governo Meloni. La rilevazione ha mostrato che il ministro Valditara è il meno apprezzato. Ecco i ministri più e meno apprezzati.

Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara è il meno apprezzato dagli italiani secondo l’indagine condotta dall’istituto demoscopico Noto Sondaggi per ‘La Repubblica’.

Il titolare della scuola, infatti, appare all’ultimo posto della ‘classifica’ stilata sulla fiducia che gli italiani ripongono nei ministri dell’attuale esecutivo guidato dalla premier Giorgia Meloni. Valditara ha totalizzato il 18% di consenso, perdendo a maggio 2024 il 2% rispetto al precedente sondaggio datato dicembre 2023.

La ‘classifica’ dei ministri del Governo Meloni

Ebbene, in base all’indagine condotta per conto di ‘La Repubblica’, all’apice della classifica di gradimento degli italiani c’è il ministro della Difesa Guido Crosetto con il 44%, che guadagna un punto percentuale rispetto alla passata rilevazione di dicembre.

Al secondo posto, con il 42% di fiducia, troviamo il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ed il ministro degli Affari esteri e Cooperazione internazionale Antonio Tajani, che è colui che ha registrato il maggiore incremento (+3%) tra tutti gli altri. Chiude il podio Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura, che si piazza in terza posizione con il 41%.

Ecco la classifica completa dei ministri più e meno apprezzati dagli italiani secondo l’indagine di Noto Sondaggi:

    Guido Crosetto, ministro della Difesa (44%, +1%);

    Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno (42%, =);

    Antonio Tajani, ministro degli Affari esteri e Cooperazione internazionale (42%, +3%);

    Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura (41%, =);

    Raffaele Fitto, ministro degli Affari europei, Politiche di coesione e Piano nazionale (39%, =);

    Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia e Finanza (38%, +2%);

    Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy (38%, -1%);

    Francesco Lollobrigida, ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali (37%, -1%);

    Sebastiano Musumeci, ministro delle Politiche del mare e per il Sud (35%, -1%);

    Marina Elvira Calderone, ministro del Lavoro e Politiche sociali (33%, =);

    Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture e Mobilità sostenibili (33%, -1%);

    Eugenia Maria Roccella, ministro della Famiglia, Natalità, Pari opportunità (32%, +2%);

    Alessandra Locatelli, ministro della Disabilità (28%, -2%);

    Gilberto Pichetto Fratin, ministro della Transizione ecologica (27%, +2%);

    Anna Maria Bernini, ministro dell’Università e Ricerca (27%, +2%);

    Carlo Nordio, ministro dell Giustizia (26%, -2%);

    Andrea Abodi, ministro dello Sport e dei Giovani (25%, +2%);

    Luca Ciriani, ministro dei Rapporti con il Parlamento (24%, -2%);

    Orazio Schillaci, ministro della Salute (23%, =);

    Maria Elisabetta Alberti Casellati, ministro delle Riforme istituzionali (21%, =);

    Paolo Zangrillo, ministro della Pubblica amministrazione (20%, -2%);

    Roberto Calderoli, ministro degli Affari regionali e Autonomie (20%, -1%);

    Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione e del Merito (18%, -2%).

Sono 7 su 23 i ministri del Governo italiano che hanno aumentato il loro consenso rispetto a dicembre. Al contrario, la fiducia degli italiani è calata per 11 di loro, mentre per 6 è rimasta invariata.

Sono invece 4 i membri dell’esecutivo che hanno superato il 40% di consenso (Crosetto, Piantedosi, Tajani e Sangiuliano), mentre 12 ministri hanno ricevuto un grado di fiducia minore del 30%.

Infine, a maggio 2024 il valore medio del gradimento ai singoli componenti del Governo Meloni è leggermente diminuito rispetto a dicembre 2023, passando dal 30,7% al 30,5%.

Attenzione: negli ultimi giorni Elly Schlein & compagnia d’arte varia hanno partorito un’idea. E che idea: un bell’arco costituzionale. In Eurovisione, of course. Contro chi? Contro le «destre conservatrici e nazionaliste». Troppo vago. Su: contro Giorgia Meloni… Ecco.

A un mese dalle elezioni Europee, a sinistra è tutto  organizzare scioperi e appelli pur di scongiurare che ciò che è già avvenuto in Italia – un governo di impronta nazionale e conservatrice – possa tradursi ormai anche a livello continentale.

Fallito miseramente pure lo sciopero Usigrai che doveva mostrare al mondo la rivolta dei lottizzati contro la fantomatica Tele-Meloni, l’ultima trovata al Nazareno è la mossa della disperazione: sperare nella grande alleanza antifascista su scala continentale.

Questo è ciò che è emerso qualche giorno fa in Germania, dove è andato in scena il raduno delle stelle cadenti del Pse: ossia Olaf Scholz, Pedro Sanchez ed Elly Schlein, appunto. Tutti uniti nel presentare il “Manifesto per la democrazia di Berlino”. Punto forte? L’impegno a non sottoscrivere accordi europei con il gruppo dei Conservatori (Ecr) e quello sovranista (Identità e democrazia). In sostanza si è trattato di un modo per intimare la von der Leyen, e più in generale i Popolari, a lasciar perdere ogni scenario che possa coinvolgere le destra per la prossima Commissione Ue. Il tutto, è chiaro, solo per sabotare Giorgia Meloni e isolare il governo italiano: il vero laboratorio “avanzato” della destra continentale.

L’unica speranza programmatica per i piddini continentali, insomma, è la riedizione dell’inciucione che gli ha permesso di governare di fatto l’esecutivo Ue e di imporre per anni, anche per mancanza di spina dorsale nel Ppe, l’agenda anti-sociale Timmermans. Speranza vana, questa di Schlein & co. O meglio è più che possibile, sondaggi alla mano, una nuova Commissione frutto ancora della larga coalizione (Ppe, Pse, Liberali e Verdi) ma anche i muri sanno che non potrebbe essere rappresentativa della nouvelle vague – nazionale e popolare, non nazionalista e sciovinista – che sta attraversando tutte l’Europa da Sud a Nord, da Est ad Ovest. Tradotto: dovrebbe vedersela con un Consiglio europeo, con i governi dell’Unione, a maggioranza di centrodestra. Non ci sarebbe partita.

L’arco antifascista “europeo”, dunque,  è tecnicamente un’illusione. Ma non solo. È una proposta classista e antidemocratica: dato che considererebbe più di un quarto dei suoi cittadini come europei di serie B (lo hanno già fatto in questi anni con Polonia e Ungheria). È un’agenda sgangherata e fuori dalla realtà: le sfide attuali (energia, difesa, autonomia strategica) richiedono pragmatismo e il dialogo serrato fra gli esecutivi; escludere degli interlocutori significherebbe – con gli attuali trattati – bloccare l’intero processo comunitario. Una follia.

L’arco antifascista, infine, è l’ennesima trovata anti-italiana del Pd: perché, lo ripetiamo, è tutta una scusa per cercare di screditare il governo Meloni fuori dai confini. Si tratta di un tentativo estremo, goffo ma non per questo non pericoloso, di richiamare il vincolo esterno sull’Italia: con tutto ciò che comporterebbe. E tutto questo Schlein lo sa molto bene. Anche qui, fortunatamente, il flop è più che una previsione: se non hanno risposto a tale “appello” i mercati, se non hanno risposto le agenzie di rating, se non l’ha fatto l’attuale Commissione sul Pnrr, se non l’ha fatto nessuna cancelleria nel mondo, figuriamoci se i popoli europei risponderanno al richiamo di un campo socialista sempre più “deserto”.

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