Idrogeno verde: “South H2” per la transizione ecologica

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Durante il Consiglio Energia Ue tenutosi a Bruxelles, Italia, Austria e Germania hanno firmato una dichiarazione di intenti per la costruzione di un gasdotto di idrogeno che collegherà il Nord Africa all’Europa. Il “Corridoio South H2” permetterà di raggiungere gli obiettivi prefissati dal piano “Repower Eu”, secondo il quale la comunità europea dovrà essere in grado di importare 10 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile entro il 2030.

Importare l’idrogeno significa impegnarsi attivamente nella decarbonizzazione di alcuni processi di produzione energeticamente dispendiosi, come quelli chimici o siderurgici. Perché se a consumare la stragrande maggioranza del carbone prodotto globalmente sono Cina, India e Stati Uniti (la Cina, da sola, ne consuma ben 3756 tonnellate), c’è da tenere in considerazione che la Germania figura come quinta nella classifica dei maggiori consumatori di carbone al mondo. Inoltre, le statistiche e i numeri fanno riferimento al periodo antecedente allo scoppio del conflitto russo-ucraino, dopo il quale anche l’Italia è tornata (parzialmente) al carbone per compensare la crisi energetica e l’impossibilità di importare gas.

Eliminare il carbone per far affidamento su una fonte sostenibile; questo il piano. Ma l’idrogeno, per essere definito green, deve rispettare alcune caratteristiche. Infatti, su 75 milioni di tonnellate di idrogeno utilizzato dalle industrie di tutto il mondo, circa 72 milioni di tonnellate sono classificabili come “idrogeno grigio”, prodotto da combustibili fossili ed in maniera non sostenibile. L’alternativa esiste e viene definito “idrogeno blu”: prodotto nello stesso identico modo, prevede giacimenti di anidride carbonica sotterranei, possibilmente ancora più pericolosi per l’ambiente ed economicamente insostenibili.

Ecco che l’unico idrogeno utile alla causa è l’ “idrogeno verde”, prodotto tramite elettrolisi dell’acqua in apposite celle elettrochimiche, a loro volta alimentate da energia rinnovabile. L’Europa prevede di impiantare elettrolizzatori in grado di produrre 40 gigawatt sul territorio continentale, e di importare altri 40 gigawatt da stabilimenti nordafricani tramite più di 3000 chilometri di condotti, tra riqualificati e nuovi. Un passo avanti nella transizione ecologica europea e nuove opportunità per l’Africa: o almeno in teoria.

La paura è che anche questo progetto possa arenarsi come è già successo per “Desertec”: i costi troppo alti non hanno permesso all’Europa e ai paesi coinvolti di utilizzare il clima secco del deserto per produrre energia rinnovabile. Ma “South H2”, se sviluppato a dovere, potrebbe davvero rappresentare un’opportunità per mettere l’Europa “in contatto con i partner in Nord Africa”, come dichiarato da Kadri Simson, commissaria per l’energia presente alla firma.  

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