La società mineraria norvegese Rare Earths Norway ha annunciato di aver trovato un giacimento con ben 8,8 milioni di tonnellate di terre rare. Si tratta di materiali preziosi per la transizione energetica e lo sviluppo tecnologico; l’Europa non ne ha mai prodotti, importando dalla Cina che detiene il monopolio dell’80% del mercato mondiale.
Le terre rare vengono definite tali per la difficoltà di trovarne in grandi quantità all’interno di un unico giacimento. Si classificano17 elementi della tavola periodica con questo nome: l’intero gruppo dei lantanidi, l’ittrio e lo scandio. Basti pensare che le due terre rare meno abbondanti, il tulio ed il lutezio, sono circa 200 volte più diffuse dell’oro; non sono rare, ma estremamente richieste per la capacità di esercitare magnetismo ad alte temperature. In altre parole, permettono di costruire dispositivi digitali sempre più efficienti. E a beneficiarne sono, tra i tanti settori, le rinnovabili e la medicina.
Il neomidio è un componente fondamentale per il funzionamento degli impianti eolici, mentre l’ittrio-90 viene usato in medicina nucleare per diverse terapie. Fino ad adesso, il più grande giacimento di terre rare in Europa era considerato quello di Kiruna in Svezia, il quale contiene circa 2 tonnellate di minerali, ma si pensa che il Fensfeltet in Norvegia possa soddisfare, da solo, il 10% del fabbisogno europeo. La ragione per cui gli unici giacimenti di terre rare si trovano in Scandinavia va ricercata nelle caratteristiche della regione geologica e, nello specifico, nella grande attività vulcanica del nord Europa.
L’ultimo scoperto si trova all’interno di un camino vulcanico di circa due chilometri di diametro. Il magma ha dato origine ad una roccia ignea rara definita “carbonatite”, ricca di terre rare. Nel complesso del Fen, il 15-25% di queste è rappresentato da neodimio e praseodimio; l’ultimo viene utilizzato nella costruzione di macchine elettriche. Si pensa che la richiesta di terre rare possa quintuplicare nell’arco di 4 anni appena. Per quanto non ci siano ancora garanzie sui volumi di minerali che sarà possibile estrarre ed utilizzare, la società norvegese rimane ottimista e punta ad investire circa 800mila euro per la prima fase di scavo, prevista per il 2030.