Bruxelles ha approvato il provvedimento per la conservazione degli habitat europei, anche se con una maggioranza stringata e persino un no dall’Italia, Paese con la biodiversità più sviluppata d’Europa. Secondo dati riportati sul sito del Consiglio europeo, è dal 1979 che gli habitat sul territorio continentale versano in condizioni precarie, mettendo a rischio la sopravvivenza di specie endemiche e non solo. Nello specifico, gli habitat in buone condizioni rappresentano soltanto il 15% del totale; il 50% di dune e torbiere versa in cattive condizioni, ma anche coste, foreste e prati sono tra i più danneggiati. Per quanto riguarda la fauna, invece, ben il 38% delle specie ittiche è minacciata dalla distruzione degli habitat; anche molluschi, anfibi e muschi appaiono nella lista.
Una specie europea su cinque rischia di estinguersi; 161 di queste sono italiane. L’Italia, da sola, conta 58mila specie diverse (dati Ispra), molte delle quali minacciate da attività turistiche ed urbanizzazione non controllata ma, nonostante questo, ha deciso di opporsi insieme ad Ungheria, Polonia, Paesi Bassi, Finlandia e Svezia. Il provvedimento prevede il ripristino del 20% degli habitat entro il 2030, per poi aspirare al 60% per il 2040 e al 90% per il 2050. La Commissione europea richiede piani specifici e dettagliati per la conservazione degli ecosistemi a tutti i Paesi, i quali sono chiamati a monitorare i progressi per poi riferirli, secondo indicatori di biodiversità identificativi di ciascuna area geografica.
Quello su cui gli stati membri dovranno lavorare, già da subito, è evitare che ci sia perdita di spazi verdi all’interno delle zone urbane; migliorare un indicatore a scelta tra la popolazione delle farfalle di prato, lo stock di carbonio organico nel terreno e la quota di terreni agricoli ad alta diversità; il contrasto alla cementificazione; l’aumento della popolazione degli uccelli nelle foreste ed il piantare almeno 3 miliardi di alberi aggiuntivi in tutta l’Unione europea. Obiettivi concreti e abbastanza specifici, che non hanno incontrato il favore di tutti gli stati membri.
Anzi: il provvedimento è passato con 20 voti favorevoli (su un minimo di 15) e con la rappresentazione del 66,07% della popolazione (su un minimo del 65%), grazie anche ad un repentino cambio di rotta della ministra per l’Energia e il clima austriaca, Leonore Gewessler, contro la quale il governo ha già annunciato di voler fare ricorso. La Commissione tornerà sul provvedimento nel 2033, per valutare l’impatto delle nuove norme e l’introduzione di correttivi, lì dove necessario.