Nel discorso alla Camera alla vigilia di un Consiglio europeo particolarmente delicato in cui Giorgia Meloni come presidente del consiglio italiana e, al contempo, leader di Ecr, il partito conservatore che è il terzo più rappresentativo del parlamento europeo, dovrà decidere se accettare le proposte che le arrivano dal gruppo dei mediatori o collocare l’Italia e il suo gruppo all’opposizione, va dritta al nodo della questione e arriva subito al punto: «La composizione del nuovo parlamento è stata delle indicazioni del voto del 8 giugno».
Ue, il discorso di Meloni alla Camera: «No a logiche di caminetto. L’Italia non le accetterà» Ma l’affondo sugli equilibri che si sarebbero composti in vista del Consiglio europeo arriva alla fine del suo intervento: «Alcuni hanno sostenuto che non si debba parlare con alcune forze politiche, che poi sono quelle stesse forze che più sono cresciute alle urne. Le istituzioni Ue sono state pensate in una logica neutrale. Gli incarichi apicali sono stati affidati tenendo in considerazione i gruppi maggiori, indipendentemente da logiche di maggioranza e opposizione. Oggi si sceglie di aprire uno scenario nuovo e la logica del consenso viene scavalcata da quella dei caminetti, dove una parte decide per tutti. Una “conventio ad excludendum” che a nome del governo italiano ho contestato e non intento condividere o accettare».
Era emersa la notizia che il gruppo di mediazione che sta cercando un accordo sulle istituzioni europee, i cosiddetti top jobs, avrebbe trovato un’intesa anche senza l’Italia. Un accordo che vedrebbe Ursula von der Leyen per il bis come presidente della Commissione Europea, l’ex premier socialista portoghese Antonio Costa per il Consiglio europeo e Kaja Kallas, dei liberali di Renew, Alto rappresentante per la politica estera. Von der Leyen ha poi detto che avrebbe cercato di trovare un’intesa con Meloni. E su questo la replica che arriva da Roma è esauriente: «Nessun autentico democratico che creda nella sovranità popolare può in cuor suo ritenere accettabile che in Europa si tentasse di trattare sugli incarichi di vertice ancora prima che si andasse alle urne. E poi ci si stupisce dell’astensionismo…».
Giorgia Meloni continua: in Europa «si delinea una maggioranza fragile, destinata probabilmente ad avere difficoltà nel corso della legislatura. È un errore importante, non per la sottoscritta, per il centrodestra o per l’Italia ma per un’Europa che non sembra comprendere la sfida che ha di fronte o la comprende ma preferisce in ogni caso dare priorità ad altre cose. Chiosando Se vogliamo rendere un buon servizio all’Europa e alla sua credibilità – dice la premier, dopo aver denunciato le “logiche dei caminetti” che stanno decidendo gli assetti dell’Ue – dobbiamo mostrare di avere compreso gli errori del passato e avere massima considerazione delle indicazioni dei cittadini», che chiedono «un’Europa più concreta e meno ideologica».
Meloni: serve un cambio passo, tutte le forze politiche lo hanno ammesso.
E’ l’incipit del suo intervento in vista del Consiglio europeo al via oggi e che prosegue domani: dalle elezioni europee «dobbiamo trarre alcune importanti indicazioni. Tutti in questi mesi hanno sostenuto la necessità di un cambiamento nelle politiche Ue, nessuno ha detto che sarebbe stato sufficiente mantenere lo status quo. Tutti hanno concordato su un punto: l’Europa deve intraprendere una direzione diversa rispetto al posizionamento preso finora».
Non poteva mancare un riferimento netto, chiaro, al tema dell’astensionismo su cui molti analisti e media si sono soffermati esaminando il verdetto delle urne. Un tema su cui la premier nel suo intervento alla Camera ha sottolineato: è «un fenomeno che ha attraversato molte nazioni in tutto il continente e che non può lasciarci indifferente. Non può lasciare indifferente questo Parlamento, e a maggior ragione non può e non deve lasciare indifferenti le classi dirigenti europee: a partire da quelle che anche in questi giorni sembrano purtroppo tentate dal nascondere la polvere sotto il tappeto. Dal continuare con vecchie e deludenti logiche come se nulla fosse accaduto, rifiutandosi di cogliere i segnali chiari che giungono da chi ha votato e dai tanti che hanno deciso di non farlo».
Riprogettare, riformulare, per andare avanti e migliorare: «l’Europa – dichiara la Meloni alla Camera – ha davanti a sé un compito arduo: ripensare le sue priorità, il suo approccio e la sua postura», afferma la premier nelle comunicazioni alla Camera in vista del Consiglio Ue, rimarcando la «necessità di fare meno e fare meglio», e di lasciar «decidere agli Stati nazionali ciò che non ha bisogno di essere centralizzato». Pertanto, prosegue Meloni, «penso che la nuova presidenza della Commissione dovrebbe pensare a una delega specifica alla sburocratizzazione per dare un segnale» di cambiamento.
«L’obiettivo – ha rimarcato Giorgia Meloni, con accanto a sé i ministri Tajani e Salvini – è rendere l’Europa un luogo dove sia conveniente investire. Significa creare le condizioni per consentire a chi vuole investire e fare impresa di farlo al meglio. Che significa anche riuscire a essere più attrattivi degli altri. E questo comporta prima di tutto disboscare pesantemente quella selva burocratica e amministrativa che ha finito con rendere il quadro normativo europeo un percorso a ostacoli per le imprese, in particolare per le micro, piccole e medie imprese, a più riprese richiamate nelle dichiarazioni di principio che abbondano tra i documenti dell’Unione, ma poi spesso dimenticate o addirittura penalizzate quando dalle parole si passa ai fatti. Contestualmente è necessario elaborare una strategia che protegga le aziende europee dalla concorrenza sleale. Le faccia crescere. Tuteli le filiere produttive industriali. Difenda i marchi e le eccellenze, concretizzando il principio secondo il quale il mercato può essere libero solo se è anche equo».
«Dobbiamo ricordarci – aggiunge Meloni – che libertà e sicurezza hanno un costo». E «dobbiamo essere capaci di esercitare la deterrenza» costruendo «un solido pilastro europeo della Nato affianco a quello statunitense. L’Italia si farà interprete» di questa visione «al vertice Nato» in programma tra due settimane a Washington, ha quindi aggiunto la premier, affermando la necessità di «dotarsi di una politica» europea «di sicurezza e difesa». E di una «politica industriale comune nel campo della difesa».
Significativi i passaggi dell’intervento della Meloni sulla gestione dei flussi migratori, in merito alla quale la premier ha confermato gli obiettivi della «difesa dei confini esterni» e del contrasto al «business dei trafficanti di esseri umani» che sono gli «schiavisti del terzo millennio. Io credo che l’Ue, culla della civiltà occidentale, non possa più tollerare che un crimine come la schiavitù sia tollerato in altre forme». Pertanto, è convinzione della premier che i «memorandum con l’Egitto e la Tunisia» vanno replicati. E che vanno rimosse «le cause che spingono una persona a lasciare la sua terra. Serve dar corpo al «diritto a non dover migrare». «In Italia e in Ue – prosegue Meloni con fermezza – si entra solo legalmente. Degli ingressi si occupano le istituzioni e non gli scafisti. Non consentiremo alle mafie di gestire gli ingressi in Italia, come fanno da diverso tempo. Mi stupisce che nessuno prima di noi se ne sia accorto».
Ma anche su questo la Meloni sottolinea il cambio di passo: sulla gestione del dossier migranti prima si parlava solo di«redistribuzione», mentre «ora il paradigma è cambiato. Ma è fondamentale che questo approccio sia consolidato e diventi strutturale: la stessa lettera che la presidente della Commissione von der Leyen ha ieri indirizzato ai capi di Stato e di governo va in questa direzione, stabilendo che questo approccio debba rimanere al centro anche delle priorità anche del prossimo ciclo istituzionale».
I passaggi del discorso di Giorgia Meloni alla Camera sulle guerre che infiammano l’Europa e il Medio Oriente ribadiscono convinzione e operato del governo. «Difendere l’Ucraina è nell’interesse dell’Europa. Se l’Ucraina fosse stata costretta ad arrendersi non ci sarebbero state le condizioni per un negoziato. Pace non significa mai resa». «Ogni nostro sforzo – sottolinea il presidente del Consiglio – è concentrato per consentire all’Ucraina di guardare a un futuro di pace. Deve essere chiaro chi pagherà per la ricostruzione dell’Ucraina».
Così come chiara è la posizione sul conflitto israelo-palestinese in atto. «Il processo di pace in Medio Oriente– afferma Meloni – non può essere che basato sulla soluzione dei “due popoli e due Stati”. L’Italia sostiene la proposta di mediazione degli Usa, coadiuvata da Egitto e Qatar. Su questo versante l’Europa può e deve giocare un ruolo più attivo».
Sul green deal
Una indicazione arrivata dal voto per le elezioni europee, osserva Meloni, è di «rimettere mano alle norme più ideologiche del green deal e assicurando neutralità tecnologica: vogliamo difendere la natura con l’uomo dentro, spesso in questi anni si è fatto il contrario, sfruttando tutte le tecnologie disponibili». Pertanto la premier nelle comunicazioni in vista del Consiglio europeo sul punto sottolinea che è intenzione del governo puntare a rimettere mano anche alla «direttiva sulle case green».
”Il mandato che spero di avere da questa Aula per il Consiglio europeo è un mandato a continuare a chiedere un cambio di passo sulle priorità Ue, a portare le nostre proposte e a lavorare perché all’Italia venga riconosciuto il ruolo che le spetta”, ha detto Meloni nel corso delle repliche al dibattito, facendo riferimento in particolare all’intervento della dem Marianna Madia. “Dice che ‘l’Italia dovrebbe avere un ruolo importante come ora’. Francamente io voglio dire che spero di riuscire a fare meglio…”, ha detto il premier, sottolineando che ”io ho fatto critiche alla Ue, ma anche proposte”.
”Se lo fanno alcuni, sono europeisti, se lo fanno altri, sono nemici dell’Unione europea. Io – ha chiarito Meloni – sono stufa di sentire raccontare il governo come impresentabile e nemico. Non si possono liquidare le posizioni politiche diverse come impresentabili. Questo è un film che non funziona…”. Meloni quindi ha rivendicato il ruolo di Ecr come terzo partito, smontando la narrazione dem secondo cui il confronto tra Ppe, socialisti e liberali sui top jobs sarebbe legittimata dal fatto che si svolge tra i tre principali gruppi del Parlamento europeo.
La democrazia, ha avvertito Meloni, che già nel suo intervento principale aveva parlato dei “caminetti”, “è diversa, è un’altra cosa”, richiede “una scelta che rispecchi l’indicazione dei cittadini”. “Considero folle che si dica da parte di chi rappresenta gli italiani in Europa che non bisogna negoziare di fatto con la presidenza del Consiglio italiano, di fatto con il governo italiano, perché in Italia c’è un governo che non piace alla sinistra”, ha proseguito il premier con un chiaro riferimento alla posizione di Elly Schlein e del Pse che avevano invitato e non fare accordi con i conservatori. “Penso che sia una grave responsabilità quella che ci si assume rappresentando l’Italia quando si va fuori dai nostri confini nazionali a cercare un soccorso esterno e a cercare un isolamento per l’Italia , una strategia “che crea molti problemi all’Italia”.”
”Sulla maggioranza vedremo in corso di legislatura. Mettersi d’accordo sui top jobs non vuol dire avere una maggioranza e sicuramente non vuol dire avere una maggioranza solida. Valuteremo nel corso della legislatura se esista una maggioranza. Diceva la collega Zanella che ‘la maggioranza esiste e resiste’. Direi che sicuramente resiste, che esiste, lo verificheremo più avanti…”, ha sottolineato poi in risposta alla deputata Avs.
Tanto il Pd quanto il M5S hanno poi offerto facili assist al premier, accusandola di “ambiguità” e volontà di “inciuci”. ”A chi mi accusa di ambiguità voglio rispondere dicendo che in tema di ambiguità sicuramente sono seconda ad altri se le posizioni di alcuni dei vostri” sono favorevoli all’uscita dalla Nato. ”Prima di parlare dell’ambiguità degli altri, bisognerebbe guardarsi in casa…”, ha detto Meloni rispondendo ai dem. Quanto ai pentastellati che la accusavano di “inciucio” in relazione al patto di stabilità ha ricordato che ”non faccio inciuci con la sinistra né in Italia, né in Europa. Il patto di stabilità non è un inciucio…”. ”Un inciucio – ha chiarito Meloni – è guidare un governo, essere sfiduciati e poi mettersi d’accordo con l’opposizione per restare al governo, quello è un inciucio, non certo il Patto di stabilità”.
E un alzata pronta per la schiacciata è arrivata a Meloni anche su tematiche più prettamente interne. Non ci sono delle novità di legge che questo governo ha portato avanti. Quindi, se la disgustano le nostre politiche, temo che la debbano disgustare anche le vostre, perché non siamo intervenuti sulla materia..”, ha detto Meloni replicando alle accuse della pentastellata Gilda Sportiello sui presunti attacchi del governo sui diritti, in particolare su aborto e tematiche Lgbt.