La Rivoluzione francese era partita con lui, Macron, nel 2016, quando un giovane che veniva dalla banca Rothschild fece l’impresa fondano un nuovo movimento politico, conquistando l’Eliseo, distruggendo il partito Socialista, ridimensionando i gollisti, monopolizzando il centro, fermando la destra. Un eccezionale esperimento da laboratorio dell’Ena, l’officina della classe dirigente francese. Otto anni dopo, Macron è diventato Micron. La sua strategia di scomposizione e ricomposizione del quadro politico intorno alla sua figura, il Nuovo Re Sole, come in un racconto dell’orrore gli si è rivoltata contro e alla fine è lui, “le president”, a soccombere.
La Francia, che mantiene intatto il gusto per il coup de theatre, produce il colpo di scena ed arriva la vittoria della destra. Siamo al primo turno, il risultato è chiaro, il Rassemblement National ha vinto, ma la parola fine sul romanzo è ancora da scrivere, c’è da affrontare il secondo turno, dove Macron tenterà di respingere per un’ultima volta l’assalto non al governo – che ha già perso – ma alla presidenza della Repubblica dove vorrebbe lasciare un suo candidato, per non passare alla storia come l’uomo che ha consegnato il Paese alla destra.
Anche in Italia si studiano i risultati delle elezioni francesi, dove la destra del Rassemblement National di Marine Le Pen ha preso quasi il 30%, meno che alle europee ma abbastanza da essere primo partito. I titoli dei giornali si sbizzarriscono puntando un po’ sulla bionda leader dell’RN, un po’ sulla sconfitta del presidente Emmanuel Macron il cui partito è arrivato terzo. Si rivoterà domenica 7 luglio al secondo turno, dove sono possibili alleanze di sinistra e del centro per fare blocco contro l’RN.
“Gli analisti, in particolare, sono preoccupati circa la tenuta dei conti pubblici francesi in un contesto già difficile e prevedono che continuerà un periodo di volatilità…”. Questo è quello che sostengono i media di sinistra del nostro Paese, allarmati dalla grande cavalcata di Marine Le Pen fino al voto di domenica 30 giugno. Lo stesso frame adottato prima della vittoria di Giorgia Meloni alle scorse elezioni politiche, E, come in quel caso, non c’è nulla di vero.
Già nella giornata del 1° luglio, lo spread tra i titoli di Stato francesi e tedeschi era in chiaro calo: dopo il voto al primo turno in Francia, il differenziale in avvio di seduta sui mercati telematici è a 73 punti base contro i 79 della chiusura di venerdì, grazie a una tenuta del prodotto di Parigi e a un rialzo dei rendimenti di quello della Germania. Simile il movimento per lo spread italiano, che ha aperto a 153 ‘basis point’ contro i 157 della chiusura di venerdì, con il tasso del Btp calmo al 4%.
Ottimo andamento anche per le Borse. Parigi apre con un botto: + 2,6%. Milano fa segnare un avvio ampiamente positivo per Piazza Affari dopo il voto francese: il primo indice Ftse Mib segna un aumento dell’1,78%, l’Ftse All share una crescita dell’1,68%. In rialzo anche Madrid e Francoforte. I future sul Cac40 di Parigi mostrano un rialzo intorno al 2,7%, dopo che il listino era stato il peggiore della scorsa settimana cedendo il 2%, mentre i futures sul Ftse Mib di Piazza Affari segnano +1,4% (-0,5% la scorsa settimana). Rialzo vicino all’1% per i contratti sul Dax di Francoforte.
Marine Le Pen, con una vittoria storica ha mandato nel panico la gauche e il presidente Macron, vittima di se stesso. Entra in scena anche Hollande: ‘La gauche è l’unica diga per fermare la destra. In Ungheria, in Italia gli estremisti governano. Ma non possono qui, nel Paese dei diritti’. È un’ammucchiata trasversale, chiamata a raccolta dall’inquilino dell’Eliseo sfrattato dalle urne per sbarrare la strada al Rassemblement national, primo partito di Francia con il 33% dei voti. È la diga dei sedicenti democratici in barba al responso popolare decretato, tra l’altro, con un’affluenza record che ha sfiorato il 70%. Ed è partita l’operazione campo largo, l’Union sacrée, con il Nuovo Fronte popolare, il listone di ultra-sinistra che ha fatto una campagna elettorale spietata contro Macron. Al grido di “blocco democratico contro il mostro che avanza’’, Macron punta a un governo di larghe intese contando su una maggioranza risicatissima e politicamente inesistente.
La sinistra radicale è pronta alla pugna. Il socialista a Raphaël Glucksmann, regista del Nuovo Fronte popolare messo in piedi ad hoc per le elezioni, sollecita tutti i candidati arrivati terzi nelle diverse circoscrizioni a ritirarsi “immediatamente” per costruire una barriera contro il Rn di Marine Le Pen e Bardella. “La storia ci guarda e ci giudica. Ognuno di noi deve assumersi le proprie responsabilità. Non è solo una elezione legislativa: è un referendum. Vogliamo, sì o no, che l’estrema destra prenda il potere al ballottaggio per la prima volta? È l’unica cosa che conta”. È una chiamata alle armi disperata e al diavolo i programmi. Lo ammette lui stesso: “Tutte le identità politiche, sinistra e destra, svaniscono di fronte a questa clamorosa questione”. Tutti insieme per battere il primo partito francese.
“Neppure un voto deve andare a Rn il 7 luglio”, ha detto a sua volta il premier Gabriel Attal che rischia di lasciare a Bardella, 28enne delfino della Le Pen, il suo posto a Palazzo Matignon. Tutto pur di impedire ai lepenisti (che hanno già 38 deputati eletti e 297 candidati in testa al primo turno) di avere la maggioranza assoluta al secondo turno. ”Occorre fare di tutto per far sì che Rn non ottenga la maggioranza assoluta. Restano 7 giorni per evitare che questo accada”, spinge il ministro delle Finanze Bruno Le Maire. Un papocchio di forze politiche senza progetto, un campo largo alla francese, una babele di lingue pur di zittire gli elettori che hanno già scelto.
“In Francia non si può prescindere dalla destra, non la si può relegare al secondo posto, non si può continuare a farle la guerra delegittimandola a ogni occasione: i francesi hanno deciso liberamente di mandarla al potere, con una maggioranza consistentissima e contro tutto l’establishment di sinistra, di centro, dell’alta finanza e della bassa manovalanza politica. E il todos caballeros contro la novità di questo partito e di questo giovane uomo politico, Jordan Bardella, rappresenta un rischio terribile per il Paese, anche dal punto di vista civile”. Per Gennaro Malgieri, giornalista, già direttore del Secolo d’Italia e parlamentare e oggi membro, tra l’altro, del comitato scientifico della Fondazione Nazione Futura, l’elezione a premier di Bardella non solo è possibile, ma è in qualche modo necessaria. Se non accadesse, lo scenario sarebbe l’innesco di “un processo caotico all’interno non solo della politica, ma della società civile francese. La Francia da sette anni è sotto l’usbergo di un signore particolarmente arrogante, tanto è vero che lo chiamano il piccolo Jupiter, che non ne ha azzeccata una nei confronti di nessuna categoria. Iniziò con gli agricoltori e poi ha proseguito con i gilet gialli, i ferrovieri, i pensionati e non ha fatto una sola riforma. La Francia non è mai stata in uno stato di decadenza come quello attuale. Chi come me la frequenta lo vede a occhio nudo. Ora che sono cadute le pregiudiziali contro il partito della Le Pen, si sono aperte le porte a un cambiamento possibile e rigoroso. Così rigoroso che la Francia potrebbe avere il più giovane premier della storia non solo francese, ma europea. Non solo. La situazione in Francia è cambiata gradualmente, sono almeno 20 anni che va avanti questa storia del lepenismo da continuare a demonizzare o da accettare nel circuito democratico. Ora in Francia sono arrivati al punto. Ma c’è arrivata la gente, che ha messo a confronto la proposta del Rn e prima ancora del Fn con quella della gauche, del centrismo – in questo caso macroniano – ma anche dell’ultimo periodo del gollismo. Poi, non è il caso di parlare di estrema destra per il Rassemblement National. Ci sono al suo interno molto uomini moderati, personalità che vengono da raggruppamenti intellettuali, lo stesso Ciotti che si è portato dietro più della metà dei Repubblicani non è soltanto un moderato, è un moderatissimo. Il Rassemblement ha davvero molte sfaccettature, ma tutte convergenti verso il bene comune della Francia, verso il ridare alla Francia un destino che non ha più da molto tempo. Dai tempi dell’ultimo presidente gollista, Sarkozy, che poi è finito com’è finito. Lì è svanito quell’allure di tipo gollista che teneva in piedi la Francia e dava almeno la parvenza di avere un futuro, un destino, un domani. Macron tutto questo se l’è giocato in una volta sola e l’ha perso’.