Macron respinge le dimissioni di Attal e si aprono le contraddizioni del cordone politico che ha respinto Marine Le Pen

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Il risultato francese mette in piena evidenza le contraddizioni del cordone politico che si è unito per sconfiggere Marine Le Pen  ma che difficilmente riuscirà a trovare un punto d’intesa per poter governare il Paese.

Al momento l’unica realtà certa è  che le urne francesi ci restituiscono un Rassemblement National che non riesce ad imporsi al secondo turno, nonostante fosse uscito vincente al primo, a causa della strategia di desistenza che ha accomunato Macron e Mélenchon che,  pur di fermare la destra di Le Pen e Bardella,  sono saliti tutti sulla zattera di un insolito fronte repubblicano: liberali, comunisti, antisemiti e filo-islamisti.

Un frullato di idee contrastanti con programmi e tradizioni antitetiche, che porta ad una sola maggioranza numerica e consegna l’Eliseo,  e la democrazia francese,  all’instabilità politica che lascia prevedere  che tra un anno si  tornerà a votare.

Come da protocollo il premier Gabriel Attal, preso atto dell’esito del voto, si è recato all’Eliseo per rassegnare le dimissioni; come da previsioni, il presidente Emmanuel Macron ha respinto le dimissioni, chiedendogli “per il momento di restare, per assicurare la stabilità del Paese”. Dopo aver incontrato Attal, Macron ha ricevuto i rappresentanti di Renaissance, la sua maggioranza, fra i quali alcuni ministri. La composizione del nuovo governo è un rebus e, secondo diversi analisti, la sua soluzione potrebbe essere tutt’altro che rapida e  certamente non sarà semplice.

Guardando al risultato dei partiti la fotografia dell’assetto dell’Assemblea nazionale è profondamente diversa. Il Rn è di gran lunga il primo partito e gli altri per arrivare alla maggioranza necessaria a governare devono piegarsi ad alchimie di palazzo tutt’altro che facili da comporre.

Allo stato attuale gli scenari sul tavolo su cui si esercitano gli analisti sono cinque. Il primo ipotizza un governo guidato dal Nuovo fronte popolare, assumendolo come vera coalizione e non, come invece è stato, come mero cartello elettorale in chiave anti Le Pen. Si parte da ciò che ha detto Jean-Luc Mélenchon subito dopo la chiusura delle urne: Macron, ha sostenuto il leader della France Insoumise, ha “il dovere di far governare il Nouveau Front Populaire”. In assenza di una maggioranza assoluta, France Insoumise propone di approvare tramite decreto parte del suo programma, in particolare l’aumento del salario minimo, il blocco dei prezzi, l’abrogazione della riforma delle pensioni. Mélenchon, però, non ha i numeri per dettare la linea: il suo partito ha eletto solo 74 deputati. Soprattutto, non ha l’appoggio politico delle altre forze, che anzi hanno preso subito a fare quadrato contro di lui. ‘L’applicazione del programma economico di rottura del Nuovo Fronte Popolare distruggerebbe i risultati della politica che abbiamo portato avanti per sette anni e che ha dato alla Francia lavoro, attrattiva e fabbriche. Questo progetto ha un costo esorbitante, è inefficace e datato. La sua legittimità è debole e circostanziata. Non deve essere applicato’,  ha avvertito il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire.

Un secondo scenario si esercita sull’ipotesi di un’alleanza tra la coalizione presidenziale Ensemble e i Repubblicani. “Ci stiamo rivolgendo ai repubblicani”, ha detto Benjamin Haddad, deputato dell’Ensemble ed ex segretario nazionale dell’Ump. Nel caso in cui si raggiunga un accordo, il futuro governo potrebbe però cadere con una mozione di sfiducia, se votata dal Nuovo fronte popolare e dal Rassemblement National.

 Il terzo scenario prevede invece un governo di coalizione sullo stile tedesco. ”La sinistra vuole governare, ma non governerà mai”, ha detto un dirigente di Renaissance citato dall’emittente Bmftv. Per il macronista “un primo ministro del Nuovo fronte popolare cade in tre giorni.  Dovremo entrare in una coalizione in stile tedesco e ciò richiederà tempo.  Questo modello dovrebbe contemplare socialisti, macroniani e repubblicani, arrivando a 296 deputati. Ma, al netto dei numeri che non garantirebbero una maggioranza solidissima, c’è la questione delle distanze politiche. “Avremo una sola bussola, quella del programma del Nuovo fronte popolare”, ha detto dopo il voto il segretario del partito socialista Olivier Faure.

Il quarto scenario è quello di un governo tecnico, che sarebbe un inedito per la Quinta Repubblica francese: la Francia ha conosciuto un governo di unità nazionale che riuniva quasi tutti i partiti con Michel Debré, tra il 1959 e il 1962, e “tecnici” come Raymond Barre nel 1976 o Jean Castex nel 2020 sono stati capi di governo, ma entrambi avevano un mandato politico e una maggioranza nell’Assemblea.

Infine, il quinto e ultimo scenario è quello della crisi istituzionale, in cui la Francia sprofonderebbe in caso di mancata tenuta del governo incaricato, quale esso sia. Per un anno, vale a dire fino a luglio 2025, infatti, Macron non potrà sciogliere l’Assemblea nazionale. E qui il prezzo politico sarebbe tutto in capo al presidente: ”Se non c’è la maggioranza, la soluzione per sbloccare la situazione è che lui”, ha avvertito Mélenchon tra primo e secondo turno, aggiungendo che “è normale: è lui il responsabile del pasticcio”.

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