Concorsopoli, l’infettivologo Massimo Galli condannato per falso

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Il professor Massimo Galli è stato condannato ad 1 anno e 4 mesi per falso, nel processo sui presunti concorsi pilotati per professori e ricercatori dell’Università Statale di Milano, a vantaggio del suo collaboratore Agostino Riva (assolto per non aver commesso il fatto) penalizzando il primario del Niguarda, Massimo Puoti. L’ex primario dell’ospedale Sacco in pensione e tra i professori più noti durante la pandemia Covid, è stato invece assolto dalle accuse) di turbativa d’asta e abuso d’ufficio sui concorsi perché il fatto non sussiste. La condanna per l’infettivologo riguarda una singola “falsità” e si riferisce ad un singolo verbale del 14 febbraio 2020. Il processo nasce da uno dei filoni dell’inchiesta ‘concorsopoli’ dei pm di Milano Carlo Scalas ed Eugenia Baj Macario sulle presunte selezioni pilotate per posti da professore e ricercatore alla Facoltà di medicina della Statale di Milano. La commissione di cui Galli ha fatto parte nel 2020, oltre a essere membro dell’Università interessata dal posto bandito, avrebbe preferito Riva a Puoti con un punteggio di 69,9  contro 67,4. I pubblici ministeri avevano chiesto di condannare il 73enne a 1 anno e 10 mesi e il suo collaboratore Riva a 1 anno e 6 mesi. Il collegio dei giudici Bertoja-Cantù Rajnoldi-Taricco, dopo la camera di consiglio, ha concesso a Galli le attenuanti generiche ma dichiarato la “falsità” del verbale numero 2 di gara del 14 febbraio 2020. Un ‘falso’ che in aula l’infettivologo 73enne, sentito durante l’esame nel processo, aveva provato a spiegare con la pandemia Covid appena scoppiata nel mondo. “Il 14 febbraio 2020 stavo licenziando un lavoro che è stato accettato 4 giorni dopo a una rivista internazionale con la prima datazione sulle sequenze del virus e la penetrazione umana del coronavirus”. “Sono finito in questa storia per un’intercettazione di due persone a me ostili in cui mi si attribuiva l’intenzione di falsare concorsi”, ha detto dopo la lettura del dispositivo dicendosi sicuro di poter dimostrare la propria innocenza nei gradi successivi di giudizio. “Sul falso l’unica cosa che mi sento di ammettere è di aver dimenticato di correggere un orario”. Secondo il per chiudere la questione bisognava “avere una condanna per qualcosa e evidentemente restava solo la possibilità del falso”.

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