Migranti cosa si intende per luogo sicuro?

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Sulle coste italiane gli sbarchi di migranti con le disperate traversate del Mediterraneo continuano a diminuire . Nei primi sette mesi del 2024 sono sbarcati in Italia 30.624 migranti con una variazione percentuale che raggiunge il -60% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando erano stati 79.246,   secondo quanto rivela il cruscotto statistico del Viminale aggiornato al 17 luglio.

Il quesito che ci poniamo  in questo contesto è comprendere se vi è un obbligo di soccorso delle persone in mare e quando possiamo ritenere il luogo dello sbarco sicuro.

L’obbligo di prestare soccorso dettato dalla Convenzione internazionale di Amburgo, si completa con lo sbarco in un luogo sicuro (c.d.  “place of safety”)?

Secondo la Convenzione SAR , di Amburgo del 27 aprile 1979 entrata in vigore il 22 giugno 1985 si intende un “luogo” in cui sia garantita non solo la “sicurezza” – intesa come protezione fisica – delle persone soccorse in mare, ma anche il pieno esercizio dei loro diritti fondamentali, tra i quali, ad esempio, il diritto dei rifugiati di chiedere asilo. Nel caso di operazioni di soccorso a favore di migranti, il POS  è determinato secondo le procedure concordate con il Ministero dell’interno (procedure operative standard n.9/2015 del settembre 2015), quale dicastero competente in materia di immigrazione, anche per permettere gli specifici adempimenti di cui  all’art.10-ter del T.U. dell’immigrazione ( identificazione dei cittadini stranieri soccorsi nel corso di operazioni di salvataggio in mare).

Il concetto di “luogo sicuro” nel contesto del diritto del mare è una pietra miliare del diritto marittimo, fondamentale per garantire la protezione e il benessere dei marittimi e delle navi. Questo principio affonda le sue radici sia nel diritto internazionale consuetudinario che  in varie convenzioni internazionali, in particolare nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS ). Comprendere cosa costituisce un “luogo sicuro” è vitale per gli operatori marittimi, gli stati costieri e la comunità internazionale in generale.

Un “luogo sicuro” si riferisce a un luogo in cui una nave e il suo equipaggio possono essere riparati dai pericoli del mare, come tempeste, attività ostili o guasti meccanici. Comprende la sicurezza fisica della nave e dei suoi occupanti, nonché  le garanzie legali e logistiche che il porto o l’ancoraggio possono offrire.

Il diritto internazionale è piuttosto chiaro su cosa dovrebbe succedere in caso di naufragio in mare aperto e a chi appartengano le varie responsabilità. Esistono comunque situazioni in cui la volontà politica di un certo governo, come quello italiano, o le azioni imprevedibili di un corpo coinvolto nei soccorsi, rischiano di provocare potenziali crisi. Sono situazioni che espongono a critiche e tensioni politiche, ma perlopiù mettono in difficoltà sia le persone soccorse sia chi le soccorre, in particolare le ong  che operano nel Mediterraneo con le loro navi.

L’assistenza in mare 

L’articolo 2.1.10 della  convenzione sulla ricerca e il salvataggio marittimo dell’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO ), firmata nel 1979, impone a ogni nave di dare assistenza «a ogni persona in difficoltà in acqua» che si trova nei pressi della nave. Spesso le navi delle ong sono le più vicine alla zona dove avviene la maggior parte dei naufragi, nel tratto di mare. 

Quando la nave di una ong riceve notizia di un naufragio o di un’imbarcazione in difficoltà, nella maggior parte dei casi attraverso il call center gestito dall’ong Alarm Phone, si dirige verso il luogo dove si trova quell’imbarcazione.

È necessario rinforzare un sistema di ricerca e soccorso in mare,  che possa essere di ampio raggio e guidato direttamente dagli Stati. Allo stesso tempo occorre realizzare con urgenza un meccanismo di sbarco veloce e strutturato, che preveda che gli stati del Mediterraneo si prendano uguali responsabilità nell’assicurare un porto sicuro per coloro che sono stati soccorsi. L’impegno delle navi ONG  che operano nel Mediterraneo dovrebbe essere riconosciuto e dovrebbe essere messo un termine a ogni limitazione o ritardo nelle operazioni di sbarco.

I rapporti con i paesi terzi andrebbero regolati abbandonando l’unico asse centrale del controllo repressivo della mobilità migratoria, ma orientandosi verso la pace, la soluzione pacifica dei conflitti e lo sviluppo, favorendo tutte le possibilità di ingresso legale, superando il meccanismo dei decreti flussi. Il fallimento delle politiche di “gestione delle migrazioni” e dei controlli di frontiera “delegati” ad autorità statali che non rispettano i diritti umani va affrontato con la sospensione degli accordi bilaterali di cooperazione operativa e di riammissione e con provvedimenti di regolarizzazione successiva per quanti sono stati costretti a fare ingresso irregolare o sono rimasti privi del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Paolo Iafrate

Paolo Iafrate, Docente Università degli studi di Roma Tor Vergata in Regolamentazione Nazionale ed Europea in materia di immigrazione, avvocato cassazionista esperto in diritto dell’immigrazione, diritti umani, diritto penale e diritto dei paesi arabi.

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