Le Vele di Scampia,  utopia comunista anni ’70,  fortino della camorra ospitata sul New York Times, fino al crollo odierno che conta due morti, tredici feriti e 800 persone rimaste senza un tetto

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Rosetta Iervolino, in un giorno di pioggia del 2001, pochi mesi dopo essere diventata sindaco di Napoli gridò la propria indignazione: “Sono contro la pena di morte, ma il progettista delle Vele lo fucilerei!”. La Iervolino lanciò la sua sfida al tempio dell’edilizia popolare rossa manifestando il proprio sdegno, come mai nessuno, su quella sinistra che dagli anni Settanta governava a Napoli, e che aveva osato fare nonostante avesse assistito, come tutti i napoletani, al fallimento clamoroso di quei progetti nati per dare casermoni “socializzanti” alle famiglie meno abbienti nelle zone periferiche di Napoli.

A Scampia, a metà degli anni Settanta, era decollato il progetto Vele, sette mostri spacciati per architettura avveniristica progettati dal palermitano Francesco Di Salvo a cui le giunte rosse di Maurizio Valenzi, l’intoccabile primo cittadino che affidò la resurrezione del mattone, ad urbanisti e architetti di fiducia a cui assegnare assessorati, incarichi e università. Fu l’inizio della fine per Napoli, per Secondigliano e per Scampia.

Le Vele di Scampia furono riempite all’inverosimile di gente tra il 1976 ed il 1980 con il comunista Maurizio Valenzi: secondo uno studio del ricercatore del Dipartimento di urbanistica dell’Università di Napoli, Vincenzo Andriello, il 28, 5% degli inquilini delle Vele vi fu trasferito, cioè deportato, dal Centro storico. La maggioranza delle case, anzi delle ‘cellette’ di sinistra furono assegnate in base alle “okkupazioni”, perché Valenzi – come scrisse lui stesso nel libro ‘Confesso che mi sono divertito’ non disdegnava quella che oggi definiamo ‘la filosofia-Salis’, quelle delle occupazioni di necessità senza se e senza ma. Le Vele erano un progetto ispirato all’Existenzminimum, una corrente architettonica per la quale l’unità abitativa del singolo nucleo familiare avrebbe dovuto essere ridotta al minimo indispensabile, in una visione collettivista, socializzativa, nell’ottica dell’edilizia “brutalista” che negli stessi anni segnava la realizzazione di quartieri ghetto nei paesi dell’area sovietica. Case piccole “self service”, entra e occupa, poi si vede.

Il concetto del soddisfacimento di tutte le necessità primarie legate all’abitazione ha sviluppato, agli inizi del Novecento in Germania  soprattutto, una nuova corrente che ha avuto esponenti illustri quali progettisti. Alcuni di essi hanno sviluppato una branca dell’existenzminimum legata ad una clientela che, potendo contare su risorse economiche maggiori, non voleva rinunciare ad ottimizzarle riducendo gli sprechi. È quindi l’inizio dell’analisi ergonomica, del risparmio energetico ed anche della stessa edilizia bioclimatica e del riuso dei materiali da costruzione degli edifici, legata all’ottimizzazione delle risorse impiegate durante la realizzazione, l’uso e manutenzione degli involucri stessi.

Existenzminimum, ossia l’Abitazione per il livello minimo di esistenza. Questo era il titolo del II CIAM (Congresso Internazionale Architettura Moderna) tenutosi nel 1929 a Francoforte. In occasione di questo evento si discusse sull’organizzazione degli spazi domestici, analizzando questioni morfologiche, dimensionali e distributive nell’obiettivo di realizzare alloggi, come disse Ernst May, fatti in modo da soddisfare le esigenze materiali e spirituali dei loro abitanti.

Il via libera alle occupazioni abusive da parte dei senzatetto, a Scampia ma anche lungo il litorale domizio, se da un lato veniva incontro alla forte richiesta di case da parte di chi non le aveva o negli anni successivi a chi aveva dovuto lasciarle a causa del terremoto, dall’altro introdusse quel meccanismo di esproprio proletario che ancora oggi è alla base della filosofia delle “okkupazioni” illegali che hanno portato Ilaria Salis in Europa. Le Vele, ben presto, diventarono mongolfiere. Nel 1981 Il Mattino si esprimeva così. “Centinaia di famiglie ammassate come polli in batteria… La privacy non esiste. Metti un camorrista in queste gabbie e tutto il quartiere viene controllato dal mafioso”.

 Nella testa dell’archistar Franz Di Salvo, c’era l’utopia sociale delle “Unités d’habitation” di Le Corbusier in Francia. Non è stato così: quello che doveva essere una struttura ispirata anche agli edifici berlinesi costruiti tra le due guerre dall’architetto Walter Segal è evaporata con il passare degli anni. Ovviamente, nessuno, tantomeno l’architetto Di Salvo avrebbe immaginato che l’architrave del suo progetto delle Vele, la creazione di centri aggregativi e spazi comuni, spazio di gioco per bambini e altre attrezzature collettive, sarebbe stato trasformato, negli anni, nel progetto per la creazione della più grande piazza di spaccio del mondo. Oggi Scampia, con le sue Vele abbattute o rimaste in piedi, è oggetto di tour turistici nel quartiere più degradato d’Italia – come Corviale di Roma, lo Zen di Palermo – edificato in quella logica anni Ottanta dell’omologazione culturale anche della povertà, a fini elettorali, s’intende. Il primo a chiedere l’abbattimento di una Vela fu il sindaco Bassolino nel 1997, ma ci sono voluti sei anni per demolire tre dei sette mega-edifici dopo l’esternazione della Iervolino. Le ruspe, poi, si sono fermate.

C’è stato un tempo che si è tentato di migliorare la situazione delle Vele e delle altre aree periferiche della città, ma con piccolissimi risultati limitati a causa delle risorse finanziarie limitate e delle complesse dinamiche sociali di chi, da quelle case, non voleva andar via e faceva “resistenza”.

Oggi, il ballatoio crollato, che ha portato morte e disperazione è a disposizione degli annunci dei politici che ne fanno occasione di cabaret senza poter ad oggi portare una risoluzione della problematica, ormai, storica.

“Credo che adesso si debba procedere ad effettuare delle verifiche di stabilità anche nella Vela Gialla e in quella Rossa” ha dichiarato il presidente della Municipalità VIII, Nicola Nardella, intervistato al termine della riunione avuta con il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, e il Prefetto, Nicola Di Bari. 

Una tragedia che conta due morti e diversi feriti gravi, fra cui sette bambine, e circa 800 persone rimaste senza un tetto per l’inevitabile dichiarazione di inagibilità per l’edificio. C’è una lite tra famiglie imparentate dietro al drammatico crollo del ballatoio della Vela Celeste di Scampia, quartiere tristemente noto come uno dei più degradati di Napoli.

 ‘Una tragedia annunciata’, afferma don Maurizio Patriciello, il sacerdote simbolo delle periferie campane: Come si è potuto pensare di ammassare migliaia di famiglie in un’area priva di servizi, dentro un progetto fallimentare sin dalla sua concezione? Persino la beffa delle passerelle che dovevano richiamare i vicoli di Napoli. Come quella che è crollata. Io queste Vele le abbatterei tutte. Compresa l’azzurra. Come può diventare l’icona della riqualificazione dopo la tragedia? Naturalmente sperando che il bilancio di morte non si aggravi. Non sono stati  fatti controlli e manutenzioni. Noi uomini proprio non vogliamo capire che costruzione e manutenzione devono andare a braccetto. Altrimenti tutto collassa, a partire dai ghetti che fanno da corona ai centri storici. Basta costruire città fatte di isole separate. Perché anche i quartieri modello, dove abitano ricchi o benestanti, a modo loro sono ghetti. Le città vanno ripensate e mescolate. Dobbiamo vivere in comunione, che laicamente si chiama condivisione. Ma dobbiamo agire. Altrimenti le contraddizioni delle periferie esploderanno. Perché una società che esclude sistematicamente i poveri prima o poi paga dazio. Di emergenza in emergenza, rischia di sfuggirci il punto. E il punto è che tutti debbono avere la possibilità di vivere con decoro e coltivarsi. Come prete, ci lavoro ogni giorno. E vorrei che fosse chiaro: annunciare il vangelo a Caivano o a Scampia non è come annunciarlo a Ginevra o a Berlino. C’è una storia emblematica della Napoli che soffre. L’indignazione di queste ore deve sfociare in risposta adeguata. Scampia risalta per la sua grande voglia di rinascita. Ma quando all’improvviso ci si scopre insicuri in casa propria, in quello che è percepito come il proprio nido, per malridotto che sia, ogni sofferenza diventa assoluta e va ascoltata’.

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