La destra cresce nella maggioranza Ursula del Parlamento europeo con l’elezione di presidenti e vicepresidenti delle Commissioni parlamentari

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La maggioranza Ursula al Parlamento europeo e la narrazione di un’Italia e una destra isolate per le scelte di Meloni sono durate lo spazio di una pausa: quella tra l’elezione della presidente della Commissione Ue e l’elezione dei presidenti e dei vicepresidenti delle Commissioni parlamentari. Il voto che si è celebrato  ha visto il Ppe votare con Ecr e respingere il tentativo di Socialisti e Verdi di costruire un cordone sanitario intorno al gruppo dei Conservatori, che invece ha ottenuto un numero senza precedenti di incarichi di vertice. Dunque, quelle geometrie così faticosamente trovate il 18 luglio sono già saltate.

Ugualmente sono saltati, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno, il racconto dell’Italia isolata a causa delle scelte di Meloni e quello della maggioranza di governo a pezzi. Con buona pace di chi  continua a propagandare la tesi di un centrodestra italiano penalizzato o, come scrive Repubblica, di una “destra a mani vuote”.

‘Se cerchi di mettere insieme tutto e il contrario di tutto, alleando forze politiche che non la pensano allo stesso modo su nulla rischi di non avere una visione chiara” dice la premier in un’intervista al Corriere della Sera. “Se decidi di dire sì solo per fare quello che fanno gli altri – prosegue – non fai il lavoro che compete a un leader. All’Europa è mancata spesso la politica, che è visione e decisione. La ragione per la quale le cose rischiano di non funzionare nei prossimi anni è che il metodo scelto per indicare gli incarichi di vertice può compromettere entrambe le cose”. Così Giorgia Meloni, torna sul no di FdI a Ursula Von der Leyen come presidente della commissione europea: ‘ Mi sono comportata come si dovrebbe comportare un leader europeo perché mi sono chiesta se la traiettoria fosse giusta. Siccome non posso dire di considerarla giusta soprattutto su alcune delle materie sulle quali i cittadini hanno chiesto un cambio di passo ho fatto quello che mi pareva più giusto. Se decidi di dire sì solo per fare quello che fanno gli altri non fai il lavoro che compete a un leader”.

“L’Italia è un Paese fondatore dell’Unione, uno dei più grandi e influenti Paesi europei – dice ancora Meloni – Il nostro compito è contribuire a tracciare una rotta, non assistere in silenzio a cosa accade. Questa è stata la scelta di altri, ma non la condivido. Se porti la logica maggioranza-opposizione, che dovrebbe riguardare solo il Parlamento al livello degli incarichi apicali, pensati dai padri fondatori come ruoli neutri che garantissero tutti gli Stati membri, produci il rischio di ulteriori divisioni e dunque una maggiore difficoltà nel decidere”.  

Sul rapporto con la presidente della Commissione Meloni assicura: “Io parlo sempre con la presidente della Commissione, abbiamo imparato a rispettarci a vicenda. Abbiamo collaborato fino ad ora e continueremo a farlo anche in futuro. Tutti – aggiunge – riconoscono il peso e il ruolo dell’Italia e sono certa che queste saranno le valutazioni che si faranno quando si definiranno le deleghe”.  E sulla possibile difficoltà ora di ottenere deleghe di peso per l’Italia Meloni afferma: “Lettura surreale. Si sostiene che Von der Leyen non riconosca ai Paesi membri il ruolo che il loro peso determina, ma decida in base al fatto che i partiti di governo l’abbiano votata o meno? Fitto? Quando capiremo quale sia il tipo di materia che potrebbe essere affidata all’Italia individueremo, insieme alla maggioranza, anche la persona migliore. La nostra priorità sono le deleghe di carattere economico, industria, competitività, coesione, che ci consentano di aiutare l’Italia e l’Europa”.

Il risultato di Ecr è stato di 3 presidenti e 10 vicepresidenti, dei quali 6 di FdI. Numeri ai quali vanno aggiunte le due vicepresidente del Parlamento ottenute dal gruppo (nella passata legislatura era una), una delle quali andata a FdI con Antonella Sberna. Uno degli argomenti usati dalla sinistra per parlare di disfatta di FdI è il fatto che il partito non abbia ottenuto alcuna presidenza di Commissione. Ma si tratta di un ragionamento piegato a logiche che non appartengono al Parlamento europeo, dove gli equilibri di gruppo si costruiscono insieme alle delegazioni degli altri Paesi. E poiché FdI ha la copresidenza di Ecr in questi equilibri interni la presidenza di una delle tre Commissione assegnate ai Conservatori spettava a un’altra delegazione. “Per 13 volte le sinistre rosse e verdi hanno provato a fare secchi i nostri candidati. A volte per un solo voto, a volte con più margine: hanno perso 13 volte. Grazie a tutti gli amici del centrodestra per averci sostenuto e buon lavoro ai 13 nostri eletti. Vado a tatuarmi il 13”, ha scritto sui suoi social il co-presidente di Ecr Nicola Procaccini.

Del resto lo stesso è accaduto anche con il Pd in casa Socialista e con FI all’interno del Ppe. La presidenza di Commissione andata ad Antonio Decaro e strombazzata in Italia come grande successo dem in realtà è frutto esattamente di un accordo di quel tipo, se non di un ripiego vero e proprio. Il Pd è la delegazione più consistente all’interno dei Socialisti, ciononostante non ha avuto la presidenza del gruppo. Ha avuto invece la presidenza della Commissione Ambiente. Ottimo, se non fosse che rispetto alla passata legislatura la partita si è chiusa pari e patta: un presidente avevano, un presidente hanno; un vicepresidente del parlamento avevano, un vicepresidente del parlamento hanno. Quanto ai vicepresidenti di Commissione ne hanno quattro, a fronte dei sei di FdI. Come risultato non è un granché, ma da quelle parti ormai le vittorie di Pirro sono le uniche che si possono festeggiare.

Si è fatto un gran scrivere poi su Forza Italia, che in questa legislatura non ha più la presidenza di Commissione che aveva nella scorsa. Anche qui vale lo stesso discorso: gli azzurri hanno scelto e ottenuto la vicepresidenza del gruppo Ppe, il primo a Strasburgo, la vicepresidenza di una commissione e la presidenza di due delegazioni importanti come la Ue-Nato e la Ue-Asia centrale, crescendo ” di ruolo e potere”, come ha rivendicato il partito.

Gli unici del centrodestra italiano a essere rimasti esclusi sono stati gli esponenti della Lega, poiché invece il cordone sanitario intorno ai Patrioti ha funzionato. Si tratta comunque di una circostanza che non indebolisce l’Italia, che complessivamente ha ottenuto 14 incarichi di vertice, e non mina la maggioranza. Sul secondo punto Tajani e Salvini hanno sgombrato il campo da illazioni e sospetti già un paio di giorni fa. Sul primo ancora una volta sono i fatti a parlare. E non solo quelli emersi dal voto delle Commissioni parlamentari. Nella sua prima uscita da presidente del Consiglio europeo, il portoghese Antonio Costa, è venuto in Italia. Meloni, è bene ricordarlo, non ha votato per lui, esattamente come non ha votato per von der Leyen. Questo non ha impedito a Costa di scegliere Roma come sua prima missioni istituzionale e di ribadire, dopo il colloquio con il premier, la centralità che il nostro Paese riveste nell’Ue. Anche questo però non ha convinto la sinistra italiana dell’opportunità di smetterla con le fake news sull’Italia indebolita dalle scelte del suo premier.

Dopo la votazione che ha confermato al governo dell’Europa Ursula von der Leyen e la sua compagine di centrosinistra allargata ai Verdi, Matteo Salvini e Antonio Tajani comunque litigano continuamente. Il primo ad accusare il secondo di inciucio con la sinistra, il secondo a evidenziare «l’irrivelanza politica» dello schieramento di cui fa parte la Lega.

In realtà non è cambiato nulla,  rispetto a prima delle elezioni europee, ma neppure rispetto alle Politiche del 2022 che hanno visto i due partiti in questione andare d’amore e d’accordo. Da sempre infatti Forza Italia in Europa fa parte del Partito Popolare (una sorta di Dc globale) che da sempre governa da posizione di forza con i socialisti; da sempre in Europa la Lega sta all’opposizione in modo duro e puro, come pure Fratelli d’Italia. In molti hanno sperato che le recenti elezioni europee potessero mischiare le carte e permettere nuove alleanze. Qualche cosa si è mosso, ma non a sufficienza per immaginare nuove e diverse alleanze e in democrazia i numeri contano più delle parole. I tre partiti del centrodestra italiano si ritrovano più o meno a recitare la stessa parte di prima.

E qui si entra nel campo delle ipotesi: rimpastino di governo in vista per via di alcune uscite spontanee (se Fitto dovesse andare in Europa si riaprirebbe la partita per la gestione dei fondi Pnrr) o forzate da iniziative giudiziarie (caso Santanchè, ma forse non solo); vedute divergenti su come impostare a settembre una manovra finanziaria che si annuncia in salita per la scarsità di risorse.

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