Il co-fondatore  di Netflix, il democratico Reed Hastings,  ha donato 7 milioni di dollari alla campagna presidenziale della vicepresidente Kamala Harris

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La donazione di Hastings è arrivata dopo che in precedenza lo stesso imprenditore aveva chiesto al presidente Joe Biden di “farsi da parte” dalla corsa presidenziale dopo la sua performance poco brillante al dibattito presidenziale del 27 giugno. Ora Hastings, dopo la discesa in campo di Kamala, ha dichiarato che “dopo il dibattito deprimente, siamo di nuovo in gioco”.

La donazione rappresenta anche la più grande donazione singola di Hastings a un candidato politico. Martedì, Hastings ha scritto in un post su X: “Congratulazioni a Kamala Harris, ora è il momento di vincere”.

In risposta alla donazione e al sostegno di Hastings per Harris, molti elettori repubblicani si sono rivolti ai social media per annunciare che avrebbero disdetto il loro abbonamento a Netflix. “Se non l’hai già fatto, è ora di #CancelNetflix”, ha scritto un utente in un post. “Ho cancellato ieri e così ha fatto la maggior parte dei miei amici”, ha scritto Brittany Ray su X. Proprio in queste ore, su X, l’hashtag #cancelnetflix è entrato in tendenza.

Hastings e sua moglie, Patty Quillin, attraverso  una organizzazione guidata da Chauncey McLean, esponente del Partito democratico, hanno già speso decine di milioni di dollari in una pubblicità anti-Trump durante la corsa presidenziale del 2020.

Siamo  a circa  90  giorni dal voto del 5 novembre che decreterà il nuovo presidente degli Stati Uniti. Anche se la vicepresidente in carica non ha ancora ricevuto l’investitura ufficiale da parte dei democratici non sembrano esserci dubbi sul fatto che sarà lei, dopo il ritiro di Joe Biden, a contendere al tycoon la Casa Bianca e il clima si fa sempre più incandescente con reciproche accuse tra i due sfidanti.

L’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump ha definito l’attuale vicepresidente e sua avversaria, Kamala Harris, “una barbona”, durante un discorso al Turning Point Usa Believers’ Summit a West Palm Beach, come riporta la Cnn. “Era una barbona tre settimane fa. Era una vicepresidente fallita in un’amministrazione fallita”. Ora abbiamo un nuovo candidato da sconfiggere: la vicepresidente più incompetente, impopolare e di estrema sinistra della storia americana.  Sguaiata, antipatica, incompetente: Kamala Harris è già stata bocciata dagli americani’’.

Non si è fatta attendere la risposta della candidata democratica che parlando di ‘The Donald’ ha detto, “In genere sembrava qualcuno a cui non vorresti sederti vicino in un ristorante, figuriamoci se fosse il presidente degli Stati Uniti. L’America può fare di meglio delle illusioni rancorose, bizzarre e retrograde del criminale Donald Trump”.

Francesco Giubilei, presidente di Nazione futura e direttore scientifico della Fondazione An, racconta su ‘Il Giornale’  gli insulti ricevuti via social per avere definito al maschile (candidato) Kamala Harris, in procinto di ricevere il sigillo ufficiale dei democratici per la corsa alla Casa Bianca.

Giubilei aveva declinato al maschile la carica femminile.

Nel suo articolo, Giubilei scrive: “Giovedì scorso è toccato a me subire il linciaggio social per aver utilizzato una parola sgradita al mondo liberal. Intervenendo in una trasmissione televisiva ho definito Kamala Harris un candidato alla presidenza degli Stati Uniti e la conduttrice mi ha fatto notare che avrei dovuto definirla una candidata al femminile. Le ho risposto dicendo, ‘un candidato o una candidata, va bene’ per poi aggiungere che per me il rispetto delle differenze tra uomo e donna è fondamentale ma che preferivo in quel contesto utilizzare la parola candidato in una dinamica di libertà di parola”. Il presidente di Nazione futura continua specificando che, “Il video è stato condiviso da centinaia di persone entrando ben presto in trend topic su Twitter con le accuse di patriarcato, maschilismo, misoginia, fascismo e così via.  

Il racconto di Giubilei continua con l’escalation degli haters: “In breve si è passati alle minacce, agli insulti a me e alla mia famiglia con centinaia di messaggi pubblici e privati che, se fossero stati inviati a un opinionista di sinistra ci troveremmo a leggere decine di articoli sulla violenza verbale della destra”.

La questione della declinazione al femminile delle cariche politiche è stata oggetto di dibattito in Italia. Alcuni sostengono che utilizzare il femminile per titoli come “sindaca,” “questora,” “avvocatessa,” e “rettrice” sia importante per valorizzare il ruolo delle donne nell’economia, nel lavoro e nella storia1. Tuttavia, c’è stata anche una proposta di legge, presentata dal senatore leghista Manfredi Potenti, che mirava a proibire l’uso del femminile nei titoli istituzionali, con l’obiettivo di semplificare la lingua e la sintassi degli atti pubblici. Questa proposta ha suscitato polemiche, con alcune persone che la vedono come una forma di patriarcato e altre che la considerano un modo per preservare l’integrità della lingua italiana. In ogni caso, la questione rimane aperta e continua a essere discussa.

Il disegno di legge presentato  dal deputato Manfredi Potenti è stato poi ritirato.  

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