Con il nome di “forever chemicals” si identificano una serie di agenti chimici estremamente resistenti: sono composti del fluoro, generati artificialmente ed utilizzati sia in contesti domestici (come nelle padelle antiaderenti) che industriali (in alcuni sistemi di refrigerazione, nei motori dei jet e in dispositivi elettronici). Esistono migliaia di PFAS (sostanze per- e polifluoroalchiliche) e per quanto le ricerche, riguardo la loro tossicità, non siano sufficienti per scoraggiarne completamente l’utilizzo, molti scienziati hanno mostrato preoccupazione per i lunghissimi tempi di decadimento di questi composti.
Infatti, a rendere i PFAS praticamente indistruttibili sono i forti legami carbonio-fluoro, i quali richiedono grandi quantità di energia per essere separati. Questo significa che, quando queste sostanze permeano nel terreno, tendono a rimanere intatte per secoli (talvolta millenni), entrando nel ciclo biologico di diversi organismi viventi: i PFAS sono stati trovati nel sangue di quasi tutta la popolazione americana testata. Ma infatti non è la contaminazione domestica a preoccupare, date le piccole concentrazioni con cui sono diffusi i PFAS in casa, quanto la consumazione di acqua e cibo che entrano in contatto con alte quantità di sostanze polifluoroalchiliche, talvolta anche presenti nel packaging.
Ecco che la recente scoperta di batteri, in grado di demolire i PFAS in maniera non tossica, apre la strada ad una serie di ricerche necessarie su questi composti utilizzati, senza mai aver cercato alternativa, dagli anni ’50. La ricerca pubblicata su Science Advances si concentra sulle capacità di alcuni “acetobacterium” di separare carbonio e fluoro senza generare fluoruro che, in alcune circostanze, potrebbe intaccare i complessi meccanismi enzimatici delle cellule e, quindi, risultare altamente tossico. Grazie a degli enzimi specifici, i batteri sono in grado di demolire i legami ed allontanare, quasi immediatamente, il fluoruro.
Non è ancora chiaro come questo enzima operi sui legami e sul fluoruro, ma lo studio del suo meccanismo permetterebbe di renderlo più efficace grazie ad un fine lavoro ingegneristico e, quindi, di utilizzare una gamma più ampia di PFAS senza temere per la loro tossicità.