La rivelazione di un compagno di Harvard: ‘Robert Kennedy Jr vendeva cocaina all’università’

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Un nuovo scandalo ha colpito la famiglia Kennedy, questa volta centrato su Robert Kennedy Jr., che è stato recentemente accusato di aver venduto cocaina durante i suoi anni universitari ad Harvard. La rivelazione arriva da Kurt Andersen, scrittore e co-fondatore del magazine Spy, che ha deciso di raccontare pubblicamente un episodio risalente agli anni Settanta.

Secondo Andersen, durante il suo primo anno ad Harvard, avrebbe acquistato una dose di cocaina da un compagno di classe, scoprendo solo successivamente che il presunto spacciatore era proprio Bobby Kennedy. La transazione, avvenuta nella stanza del college di Kennedy alla presenza del fratello maggiore Joseph Kennedy II, avrebbe avuto un costo di 40 dollari. Che equivalgono a circa 300 dollari odierni. Andersen ha spiegato che, nonostante il prezzo elevato, il fatto che la droga provenisse da un membro della famosa dinastia Kennedy sembrava giustificare la spesa.

Andersen ha dichiarato di essere stato spinto a raccontare l’episodio dopo aver saputo del recente supporto di Robert Kennedy Jr. alla campagna presidenziale di Donald Trump.

Andersen, che in passato ha definito Trump come “un volgarone dalle dita corte“, ha sottolineato l’ipocrisia della piattaforma politica di Trump, che prevede la pena di morte per i trafficanti di droga. “Mi chiedo cosa avrebbe pensato il Bobby di allora di finire sulla forca a 19 anni“, ha commentato lo scrittore.

L’accusa di Kurt Andersen si aggiunge a una lunga lista di episodi controversi che hanno caratterizzato la vita di Robert Kennedy Jr. nel corso degli anni. Non è un segreto che Kennedy abbia avuto problemi con le dipendenze da droga. Tanto che in un articolo pubblicato su Vanity Fair si faceva riferimento al suo ruolo di “pifferaio magico” per i compagni di Harvard, attirando altri studenti verso il mondo della droga.

Le recenti mosse politiche di Kennedy, come il suo appoggio a Donald Trump, non hanno fatto altro che aumentare l’attenzione mediatica su di lui. Portando alla luce storie come quella raccontata da Andersen. Questo episodio, sebbene risalente a molti anni fa, rischia di offuscare ulteriormente la reputazione di Kennedy. Soprattutto ora che si è ritirato dalla corsa presidenziale per cercare un ruolo nella potenziale amministrazione Trump.

Ora che di anni ne ha settanta, RFK, figlio di Bob, una gioventù passata tra le droghe pesanti, l’espulsione da due college e un’overdose di eroina, ha deciso di porre fine prima del previsto alla sua campagna presidenziale, offrendo il suo appoggio a Donald Trump, un altro outsider dell’élite democratica. Nessun altro candidato presidenziale indipendente aveva superato il 10% dei sondaggi, nel XXI secolo. Non gli è bastato per puntare alla Casa Bianca, ma adesso gli analisti si chiedono che ne sarà di questo bagaglio di voti, e se farà la differenza alle elezioni di novembre.

Kennedy esce di scena tra le contraddizioni e la confusione che hanno caratterizzato tutta la sua campagna. Avvocato e scrittore a lungo a suo agio nel Partito democratico – pochi anni fa andava a cena con Hillary Clinton e premiava il presidente ucraino Volodymyr Zelensky – conosciuto da Hollywood per le sue cause ambientaliste, paladino della gente comune contro il dominio delle corporation, col tempo si è affermato come nemico numero uno di tutti i vaccini – che secondo lui causano l’autismo – e nemico del tradizionale imperialismo statunitense in politica estera.  Ha raccolto per anni simpatie da destra e da sinistra e salvato innumerevoli volte dal baratro da una famiglia ricca e potente.

Kennedy  tiene con difficoltà una forma di  coerenza su un argomento che fosse uno: ha parlato di interazioni tra vaccini e Wi-Fi, ma si è fatto vedere pompato di steroidi mentre faceva le flessioni. Ha detto che la working class è stata abbandonata dai Dem, ma ha promesso più criptovalute per tutti e detto no alla sanità gratuita universale. Ha visitato i migranti al confine per deplorarne la condizione umanitaria, ma ha detto no a qualsiasi legge che controlli le armi. Nonostante si dichiari un candidato anti-guerra, ha offerto il sostegno più conformista possibile a Israele, definendo i palestinesi “le persone più coccolate al mondo”, rifiutando il cessate il fuoco e accusando la sinistra del Partito democratico di essere antisemita. Sul canale trumpiano Newsmax ha sostenuto che “i cinesi stanno sviluppando armi biologiche etniche” progettate “per attaccare persone di determinati tipi razziali”. Le sue posizioni, per quanto confuse, sono piaciute a un importante galassia di centro liberale impegnata in una crociata contro il wokismo: a cominciare dalla giornalista Bari Weiss, che ha lasciato il New York Times in polemica contro la cancel culture del giornale, per poi proseguire col reporter di Wikileaks, Glenn Greenwald, il presentatore sensazionalista Russell Brand, lo speaker radiofonico populista Joe Rogan e per un po’ anche il padrone di Twitter, Elon Musk.

Ora Kennedy sta chiedendo ai suoi sostenitori di seguirlo tra le braccia di Trump. Il team repubblicano si frega le mani e spera che il regalo faccia la differenza negli Stati cruciali della Rust Belt, e nei segmenti di voto che vogliono “drenare la palude” di Washington, punendo la corruzione dei Dem. È una teoria che ha qualche fondamento: la maggior parte dei restanti elettori di Kennedy ha Trump o nessuno come seconda scelta. Ma i sondaggi descrivono la base di Kennedy piuttosto come calante – al 5% del totale delle intenzioni di voto.

Il ticket presidenziale di Trump con un altro personaggio inusuale, lo scrittore nazional-populista JD Vance, ferocemente antiaborto e ossessionato dalle donne senza figli, è già messo in vistosa difficoltà dal colpo di scena di candidare Kamala Harris al posto di Biden. Così i principali esponenti democratici  liquidano la base di Kennedy come irrilevante. La verità è che comunque il popolo kennediano non è un blocco monolitico, ma rappresenta un malcontento reale, di una sinistra finita a destra e tra gli anti-sistema per disperazione, con la quale Harris dovrà fare i conti. Ma per ora Kennedy sembra contento di recitare il ruolo di martire politico, inveendo contro elezioni che sostiene siano truccate, mentre cerca contemporaneamente di influenzarle.

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