Trump e Medio Oriente: ‘Con Harris e Biden è terza guerra mondiale’

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Un messaggio provocatorio in pieno stile Donald Trump. Il tycoon torna alla carica e lo fa con alcune parole infuocate riguardo la guerra in Medio Oriente con tanto di riferimento anche alle azioni da parte di Joe Biden e della sua vice, Kamala Harris, relativamente alle operazioni di mediazione che gli Usa stanno portando avanti.

Attraverso un messaggio scritto su X ma anche sul suo profilo Truth, Trump è tornato a far sentire la propria voce non solo in merito alle vicende di attualità che riguardano lo scontro in Medio Oriente e la posizione degli Usa nelle operazioni di mediazione, ma anche relativamente all’operato di Joe Biden e di Kamala Harris, sua rivale alla corsa alle prossime elezioni per la Casa Bianca.

“Chi negozia per noi in Medio Oriente? Stanno cadendo bombe dappertutto!”, ha scritto il tycoon nel post sul suo social network Truth e su X con un chiaro attacco al presidente Joe Biden e la sua vice, e candidata democratica alla presidenza, Kamala Harris. Proprio i due rivali sono stati citati anche nelle fasi successive del messaggio. “Sleepy Joe sta dormendo su una spiaggia in California, brutalmente esiliato dai democratici, e la compagna Kamala sta facendo un tour in autobus per la campagna elettorale con Tampon Tim, il suo pessimo vicepresidente. Scegliete. Non facciamo la terza guerra mondiale, perché è lì che stiamo andando!“.

Nelle ultime ore ha destato particolare attenzione anche un alleato inatteso di Trump. Infatti, Robert F. Kennedy Jr. si è schierato con il tycoon in vista delle elezioni alla Casa Bianca. “Voglio che l’America torni a essere sana e lo stesso vuole il presidente Trump”, alcune delle parole di Kennedy Jr. a sostegno del candidato alla presidenza.

Cominciano a dirlo in tanti. I democratici americani con Kamala Harris per vincere puntano al “campo largo”. A una nuova onda politica che possa diventare “movimento” e non partito. Aprono le porte ai repubblicani scontenti di Trump, agli indipendenti e ai “non committed” che non avevano votato Biden alle primarie. Ma in realtà aprono le porte a tutti quelli che vedono Trump come la vera minaccia.

Sul palco della Convention di Chicago le voci sono diventate subito plurali. Hanno parlato anche l’ex portavoce di Trump, molto pentita, ex deputati repubblicani che rimarranno comunque repubblicani anche dopo aver votato per Harris. Sperano che l’attuale movimento MAGA imploda con la sconfitta di Donald e non rimanga una minaccia per la democrazia americana. Molti di loro vogliono che lo storico partito dell’elefante, che Trump ha sequestrato trasformandolo in un business di famiglia, possa rinascere riformato per la partita del 2028.

A Chicago, con Obama è scattato l’invito a ricompattare nuovamente gli Stati Uniti d’America, fatti di giovani liberi con esperienze, sessualità e sensibilità diverse. Lo sguardo è verso un futuro aperto, da costruire insieme nel rispetto delle libertà di tutti. E la parola “freedoom”, libertà, che Trump aveva usato per distinguersi dal governo democratico che detta le regole, adesso è stata fatta propria dalla campagna di Harris diventata super digitale e dalla risposta per indicare la libertà di genere, di culto, di aborto e dei diritti riproduttivi nel pieno rispetto delle scelte della donna sul suo corpo.

La ricerca del consenso elettorale è nei valori condivisi e non un viaggio nell’oscurantismo e nel bigottismo della censura culturale che vogliono i MAGA coi libri messi al bando nelle scuole.

Harris ha meno di 12 settimane di tempo per la sua opera di convincimento che guarda alle giovani coppie che vogliono comprarsi la casa e ai giovani che non hanno mai votato. Vuole la pace in Medio Oriente e l’immediato cessate il fuoco a Gaza, rimanendo uno strenuo difensore dell’Ucraina ma anche di un sistema sanitario accessibile a tutti con la  la riduzione delle medicine che costano il doppio rispetto a qualsiasi altro Paese del mondo o addirittura 3 volte di più rispetto all’Europa. Poi il bonus di 25.000 dollari per acquisto della prima casa, i 6.000 dollari di credito per la nascita di un bambino e il ripristino dei 3.900 dollari per quelli esistenti.

È un vero programma per il ceto medio. Costoso, ma non impossibile se i fondi si potranno recuperare alzando le tasse ai più ricchi che in America non è mai successo.

Ma anche questo fa parte del “vento nuovo americano” che Harris vuole portare in tutti gli USA.  

Le spese per la campagna elettorale di Donald Trump sono più che raddoppiate il mese scorso, ovvero da quando il tycoon ha investito ingenti somme di denaro in pubblicità che attaccano la sua nuova avversaria, l’attuale vicepresidente Kamala Harris.

Questi rapporti sottolineano quanto l’ascesa di Harris abbia sconvolto la corsa alla Casa Bianca, facendo arretrare ancora una volta Trump in termini di ‘costi’  per la campagna, ormai arrivata agli ultimi mesi cruciali. Fino alla scorsa primavera, nonostante Joe Biden stesse raccogliendo più soldi, il leader MAGA era comunque ‘rincuorato’ dai sondaggi, che lo dipingevano come principale favorito alla vittoria finale. Con la discesa in campo di Harris, lo scenario è cambiato totalmente.

Il tycoon, infatti, non solo ha perso il vantaggio dei primi exit poll, ma è stato superato anche economicamente dalla campagna della democratica. Sostenuta da una raccolta fondi record, infatti, la vicepresidente si è assicurata quasi 220 milioni di dollari a fine di luglio, mentre The Donald si è fermato a quota $151 milioni. Anche per questo, dunque, secondo un’analisi di Politico, la sua campagna sarà meno sfarzosa e soprattutto meno costosa rispetto a quella di 4 anni fa.

Dall’inizio del 2023, il comitato ufficiale di Trump che si occupa della gestione della tornata elettorale, ha speso in totale 117 milioni di dollari, meno della metà dei 330 milioni utilizzati dalla coppia Biden-Harris. A luglio, Trump ha continuato a essere superato in termini di spesa: il suo staff, infatti, ha dichiarato di aver impiegato 24,3 milioni di dollari, praticamente un’inezia in confronto agli 80 milioni usati dai democratici.

Le cifre registrate lo scorso mese, sono di gran lunga inferiori rispetto a quelle del luglio del 2020. Al tempo, il comitato della campagna di repubblicano spese 65 milioni di dollari, di cui 34 per i mezzi di comunicazione e 13 per la pubblicità online e via SMS. In quel periodo, il tycoon poteva contare inoltre su uno staff composto da ben 800 dipendenti, 500 persone in più rispetto al team odierno.

Nel frattempo, lo scorso mese Harris ha potuto contare sul supporto di 1.100 dipendenti che hanno lavorato alla sua campagna. Per non perdere troppo terreno anche in questo settore, il tycoon ha deciso di rinforzare i propri ranghi, circondandosi di nuovi collaboratori che in passato avevano già lavorato al suo fianco.

Anche se la sua campagna si è rivelata alquanto “parsimoniosa” rispetto al passato, Trump ha beneficiato di una serie di spese effettuate da gruppi esterni a lui vicini. Basti pensare, ad esempio, al Super PAC Make America Great Again Inc., che sta investendo 100 milioni di dollari in pubblicità, in vista del Labor Day. Grazie a questi fondi, il candidato del GOP potrebbe quantomeno contrastare il vantaggio economico della campagna della Harris.

La Harris ha  presentato i punti classici dell’agenda del partito democratico senza scendere troppo nei dettagli: “Un’economia delle opportunità” in cui tutti abbiano la possibilità di competere e avere successo. La creazione di posti di lavoro e il taglio dei costi dell’assistenza sanitaria, delle spese per la casa e dei generi alimentari. E ha promesso che proteggerà la previdenza sociale e Medicare, il programma per fornire prestazioni mediche agli anziani che Trump detesta.

Ha cercato il voto delle americane dicendo che l’avversario e il suo partito non stanno dalla parte delle donne, visto che hanno ridotto la loro possibilità di scelta su corpo, famiglia e aborto. Ha promesso di lottare perché il diritto a interrompere una gravidanza non desiderata torni a essere tale per ogni donna.

Su molti temi, è rimasta vaga: ha parlato di riformare il sistema di immigrazione, creare un percorso verso la cittadinanza e “rendere sicuri i nostri confini”. Questioni scottanti che sono al centro della strategia di Trump per spaventare gli elettori sulle orde immaginarie di “bad hombres”, stupratori, terroristi e squilibrati che ogni giorno, a suo giudizio, attraverserebbero il confine per portare scompiglio nelle città americane.

Ha concluso dicendo che la piattaforma del partito democratico è chiara mentre Trump è una minaccia per il Paese e per la democrazia. Ha promesso di essere una presidente “che guida e ascolta; che è realistica, pratica e di buon senso; e che combatterà sempre per il popolo americano”. E ha evocato il rischio di un uomo che non ascolta, che non si informa, che non è in grado di concentrarsi sulle decisioni importanti con le mani sulla valigetta che contiene i codici per lanciare un attacco nucleare.

La corsa entra ora in una nuova fase in cui saranno fondamentali i finanziamenti che verranno raccolti, gli spot elettorali che andranno in onda e ognuno dei due candidati – nonché i loro vice – sarà sottoposto a un costante scrutinio. I livelli di energia saranno fondamentali, così come l’attenzione necessaria per gestire una fitta agenda di eventi che coinvolgerà migliaia di persone che lavorano – come professionisti e come volontari – alla campagna elettorale e milioni di elettori. Gli sforzi si concentreranno sui cittadini indecisi e sugli Stati in bilico, che alla fine faranno la differenza fra vittoria e sconfitta.

Rispetto al 2020 ci sarà una differenza fondamentale: non ci sarà il Covid a impedire ad alcuni elettori di andare alle urne, quindi la priorità per entrambi i candidati sarà portare il maggior numero possibile di persone alle urne il 5 novembre.

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