Quando si ritroveranno nella stessa stanza domani, venerdì 30 agosto, Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Antonio Tajani avranno non poche cose da chiarire.
Ma sul tavolo di Palazzo Chigi, il giorno del vertice a tre, i leader del centrodestra dovranno occuparsi seriamente di questioni che rischiano di lacerare la coalizione. Due soprattutto: le nomine dei vertici Rai – già ampiamente affrontate – e le Regionali.
Questione di potere e rapporti di forza, dunque. Da misurare alla luce dei nuovi sondaggi che danno Forza Italia in crescita e la Lega galleggiante tra i malumori della vecchia guardia nordista e la nuova stella di Roberto Vannacci, che minaccia la nascita di un nuovo partito. In autunno si vota in Liguria, Emilia-Romagna, Umbria e poi, nel 2025, alle urne andrà il Veneto. Dopo averli sfidati sullo ius scholae, Tajani ha nuovamente spiazzato gli alleati, lanciando prima di tutti Flavio Tosi, ex leghista, ex sindaco di Verona, eletto in Parlamento con Forza Italia, detestatissimo dai big del Carroccio, sia dal fronte di Salvini, sia da quello del presidente uscente e con tre mandati alle spalle, Luca Zaia.
In Italia, c’è il caso della supposta inchiesta giudiziaria sulla sorella della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che in fondo è il vero e solo obiettivo da raggiungere. Il caso impone nuove riflessioni. Ripassiamo prima i fatti. Un giornale di destra tira fuori la supposta notizia. La presidente del Consiglio si aggancia alla supposta notizia recitando, com’è successo altre volte, il ruolo di vittima e reiterando una frequente polemica contro i poteri forti, la magistratura, la sinistra, i giornalisti e quant’altro e recitando la pantomima dell’ingiusto attacco altrui da cui ella si difende con indignazione e andando al contrattacco. C’è da sottolineare che questa modalità di polemica è molto sottile dal punto di vista psicologico perché sembra sempre che lei e la sua parte politica si difendano da un attacco ingiusto e da chi non accetta che la Meloni, e la destra, governino.
Nel riportare questa supposta notizia, inoltre, si dovrebbe sempre ricordare che, se anche Arianna Meloni, o la stessa Giorgia Meloni, fossero indagate, non ci sarebbe nulla di male. La magistratura indaga tante persone ma non tutte vengono rinviate a giudizio e poi condannate. Quindi essere indagati non è di per sé un male, né tantomeno un’accusa di lesa maestà. Se non si ricorda questa semplice verità, nello stesso contesto in cui viene riportata la non notizia o la falsa notizia, non si fa buon giornalismo.
Tornando a Zaia, impegnatissimo sull’autonomia differenziata, ricordiamo che, al tempo della Lega di Bossi e della cosiddetta “devolution”, cioè di quella che lui e la sua parte politica chiamavano anche “federalismo”, ci furono vari studi e discussioni sul fatto che fosse possibile o meno realizzare un federalismo in uno stato unitario come il nostro. In particolare si presentavano teoricamente enormi problemi a suddividere l’enorme debito pubblico tra le regioni: quale criterio si sarebbe dovuto seguire? Non si capiva come il federalismo potesse comunque risolvere il problema del debito pubblico italiano, anche spezzettandolo tra 21 regioni e province autonome. Eppure vari esponenti della Lega, ma anche l’allora ministro Giulio Tremonti, ripetevano frequentemente questa visione miracolistica.
Tornando al Veneto, Meloni lo rivendica per sé, forte di un consenso locale con cui Fratelli d’Italia ha ormai superato la Lega. Sul candidato ci sono ancora molte incertezze, perché il partito della premier potrebbe non volersi privare di Luca De Carlo, il deputato che da mesi è in cima alla lista dei potenziali successori di Zaia.
Antonio Tajani, da parte sua, ha lanciato Flavio Tosi quale successore di Luca Zaia alla guida del Veneto. Il tempo di un batter di ciglio e i leghisti veneti sono insorti: il Veneto è nostro a guai a chi ce lo tocca. Tosi dovrà farsene una ragione e candidarsi ad altro.
Per comprendere il peso dell’eredità che lascia il governatore, basti pensare che nel 2022 è stato eletto, per la terza volta di fila, con quasi il 77 per cento dei voti, e che il suo destino politico – ora è molto quotato come sindaco di Venezia – è diventato un problema assillante per la coalizione. Zaia è una figura più che ingombrante, anche per i toni progressisti che si sono fatti via via più netti sui diritti civili, ma al momento non sembra in grado di minacciare né la leadership di Salvini, né l’apparente serenità del centrodestra.
Più o meno come sta succedendo in Liguria: il Pd ha indicato Orlando, che si è subito messo all’opera, dimenticando però di consultare i potenziali alleati pentastellati e il nuovo acquisto (nel campo largo) Matteo Renzi. E così la sua candidatura è per aria.
Il M5s ha tirato fuori dal cappello un proprio candidato, Luca Pirondini, 43 anni, senatore e violinista, il quale, in accordo con Giuseppe Conte, impegnato a raccogliere consensi interni in vista dell’assemblea ri-costituente, dice che il campo largo va bene ma dev’essere equo, ovvero se in Emilia-Romagna e in Umbria il portabandiera è un piddino, in Liguria dev’essere un 5stelle, seconda forza politica della coalizione.
Quindi se Elly Schlein vuole salvare il campo largo, deve rispettare il M5s e procedere di conseguenza, e così Orlando è fuori. Ma il campo largo schleiniano comprende anche ItaliaViva, gamba centrista della coalizione. Però l’idillio Schein-Renzi in Liguria è problematico. Sia perché qui i rapporti tra lo stato maggiore di ItaliaViva e quello del M5s sono a dir poco pessimi, tanto che Pirondini ha avvertito che mai accetterà Renzi come compagno di viaggio, sia perché in Comune, a Genova, i renziani sono in giunta col centrodestra e sostengono il sindaco Marco Bucci.
I tre leader dovranno decidere chi schierare in Liguria, dove, dopo le dimissioni di Giovanni Toti, si voterà a fine ottobre. Domani, Meloni potrebbe proporre di puntare su Ilaria Cavo, ex giornalista, ex assessore, oggi deputata in quota Toti di Noi Moderati. Il suo nome è frutto di trattative che ha condotto in prima persona il presidente del Senato Ignazio La Russa dalla sua casa di villeggiatura a Zoagli, con nessuno scrupolo per il possibile conflitto con la carica istituzionale che riveste. La Russa ha detto a Meloni che in Liguria si può vincere. Così, dopo un’ipotesi iniziale che sembrava orientata a un profilo civico e non puramente politico, come il vicesindaco di Genova Pietro Piciocchi, sostenuto dalla Lega, FdI potrebbe dare il via libera a Cavo. Toti ha fatto trapelare un sondaggio che la vede vincitrice. A maggior ragione con il campo largo spaccato, e il Movimento 5 Stelle deciso a non cedere sull’alleanza allargata a Matteo Renzi. Nessuno, nel centrodestra, fino a prima della pausa estiva, avrebbe scommesso su questa possibilità.
Nonostante la vicinanza a Toti, i dati raccontano come Cavo avesse rifiutato di incontrare una coppia di fratelli in odore di mafia, a una cena elettorale. Era lei, insomma, la destinataria del presunto voto di scambio. La giornalista ha sentito puzza di reato ed ha rifiutato di andare alla cena.