Dovranno passare l’esame del parlamento di Strasburgo i 26 candidati designati dai rispettivi governi nazionali per ricoprire la carica di commissario europeo. A rischio coloro i quali hanno un passato controverso, precedenti screzi con Bruxelles o troppo legati ai propri governi. Per queste ragioni sono diversi i candidati al prossimo esecutivo guidato da Ursula von der Leyen che rischiano di non essere confermati dal Parlamento. Tra loro spicca il nome dell’italiano, Raffaele Fitto. Voci di corridoio europarlamentari, ma non troppo, sostengono che Fitto sia l’ombra di Giorgia Meloni che non sta vivendo una stagione amorosa con l’area euro-progressista. Verdi, liberali e socialisti intravedono nel presidente del consiglio dei ministri italiano una alquanto pericolosa figura ultraconservatrice che cerca di rendere accettabile la politica di estrema destra alle forze tradizionali. A ciò andrebbe aggiunto che inciderà, e non poco, il fatto che i progressisti, pronti a essere la voce principale, non hanno ancora digerito la decisione della Meloni di ordinare ai suoi europarlamentari di votare contro von der Leyen per la carica di presidente della Commissione. Un niet, sembrerebbe arrivare, anche, per il candidato ungherese, Olivér Várhelyi, accusato dal europarlamento di avere minimizzato il declino dello stato di diritto della Serbia e per aver sostenuto le azioni separatiste di Milorad Dodik in Bosnia-Erzegovina, cosa che lui ha negato. Peserà su di lui anche il macigno di quando è stato ripreso con un microfono acceso mentre chiedeva “quanti idioti sono rimasti?”, durante un dibattito parlamentare sui Balcani occidentali. In bilico, anche, Hadja Lahbib ministra degli Affari esteri del Belgio sulla quale inciderebbe il fatto che a luglio 2021 quando esercitava la professione di giornalista, Lahbib partecipò a un viaggio stampa nella Crimea occupata organizzato da “Russian Seasons”, un’iniziativa di propaganda legata al governo, e ha partecipato al festival “Global Values”, per atterrare all’aeroporto di Sebastopoli occorre un visto russo, sebbene entrare in Crimea attraverso la Russia è illegale per la legge ucraina. Non sembra passarsela meglio la designazione slovacca del 58enne, socialista errante, Maroš Šefčovič espressione dello Smer, il partito del premier Fico e Šefčovič, partito che è stato espulso dal gruppo parlamentare Socialisti e Democratici (S&D). Anche se entrambi restano nel partito dei socialisti europei (Pse), il partito paneuropeo. Questa strana situazione, metà dentro e metà fuori, potrebbe incidere sul sostegno a Šefčovič e potrebbe diventare un peso se i conservatori cogliessero l’occasione per farlo cadere. In salita, anche, la candidatura iberica di Teresa Ribera che non ha mai nascosto il suo scetticismo nei confronti del nucleare, una tecnologia a basse emissioni di carbonio che comporta notevoli preoccupazioni per l’estrazione dell’uranio, i rischi per la sicurezza, le scorie radioattive e i costi elevati. Posizione, questa, non gradita in Francia e nei Paesi dell’Europa centrale, che ritengono che il nucleare abbia un ruolo indispensabile da svolgere nella transizione verde e vogliono che l’Ue promuova gli investimenti e “sblocchi completamente” il potenziale del settore. Non se la passa meglio l’indicazione dell’ellenico Apostolos Tzitzikostas sul quale incide, non poco, la sua presa di posizione, da governatore della Macedonia centrale, nella campagna per far deragliare la ratifica dell’accordo, che include il riconoscimento della lingua e della cittadinanza macedone, sostenendo che il testo violi la storia e l’identità dell’omonima regione greca. Meno precarie, anche se instabili, sembrerebbero le candidature di Thierry Breton, Wopke Hoekstra, Maria Luís Albuquerque, Glenn Micallef, Michael McGrath e Kaja Kallas. Sul primo potrebbe pesare la sua inaspettata sfuriata contro il Ppe e la campagna per la rielezione di von der Leyen, che ha sollevato questioni etiche, e per la sua lettera critica in vista dell’intervista di Elon Musk a Donald Trump, che secondo i detrattori avrebbe violato la libertà di parola. I conservatori potrebbero facilmente cogliere l’occasione per opporsi. Gli euro liberali potrebbero tornare alla carica contro l’olandese Wopke Hoekstre sulla sua passata associazione con Shell, una multinazionale considerata sinonimo di inquinamento. Non scontata la nomina della estone Kaja Kallas sulla quale potrebbe pesare la partecipazione del marito in una società di logistica che ha continuato le consegne alla Russia dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Non facile, inoltre, la posizione dell’irlandese Michael McGrath per via della sua pubblica opposizione al referendum del 2018 che ha legalizzato l’aborto e sul controverso regime fiscale del suo Paese. Da ultimo non sembra affatto scontata la nomina del giovane 35enne maltese Glenn Micallef per la sua evidente mancanza di esperienza politica. La massima posizione che il 35enne ha ricoperto è quella di capo dello staff del Primo Ministro Robert Abela, caratteristica molto distante dalla “competenza esecutiva” indicata dalla presidente Ursula von der Leyen.