Sulle rive dell’Aniene, per la festa di Alleanza Verdi e Sinistra, ci sono Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli e Riccardo Magi. Mancano Matteo Renzi e Carlo Calenda. Tutti uniti per lanciare la sfida al governo Meloni. L’impegno comune è quello di valorizzare le convergenze e lavorare sui disaccordi, a cominciare dalla costruzione di una piattaforma programmatica.
I leader del campo largo salgono sul palco con un messaggio condiviso: ‘Siamo noi il nucleo politico della coalizione alternativa alla destra. Il perimetro dell’alleanza di centrosinistra è quello tracciato dai confini del parco Nomentano di Roma. E da qui, su proposta di Riccardo Magi, viene dato il via libera al «tavolo permanente» di consultazione’. Anche se continuano a persistere le differenze sulla politica estera, dalle elezioni Usa al conflitto in Ucraina.
Elly Schlein non ha dubbi: ‘è questo il perimetro politico e unitario delle forze di opposizione, che si preparano a governare il Paese’. La segretaria del Pd rimane contraria ai veti. Dopo un’estate animata dal tentativo di Renzi di spostare Italia Viva nel centrosinistra, un piccolo spiraglio resta aperto sul confronto a partire dalle cinque priorità lanciate dalla leader a Reggio Emilia. «La gente è stufa di litigi da condominio, bisogna unire le nostre forze su temi concreti», dichiara la leader.
«Da qui parte la ‘Terra Comune’ del centrosinistra per la costruzione di una base programmatica, costruiamo un programma comune in Parlamento e nel Paese», incalza Bonelli di Europa Verde. A puntellare la riflessione ci pensa Fratoianni di Sinistra Italiana. «Quello sul palco, vorremmo fosse il nucleo della coalizione», spiega. «Un gruppo che ricerchi la massima convergenza possibile e si faccia carico della costruzione dell’alternativa, il perimetro serve a qualcosa se è credibile e riporta le persone al voto, la somma algebrica non porta da nessuna parte».
Quando c’è da ragionare sul quintetto di leader sul palco, i vertici del M5s vanno dritti al punto: «siamo sicuramente le forze che hanno lavorato più coerentemente e convintamente insieme in Parlamento per costruire un’alternativa alla destra e che si impegnano a farlo nei prossimi mesi». Ora più che mai, il veto su Renzi non accenna a cadere. Diversi parlamentari 5s insistono: «etica pubblica, lotta all’affarismo e affidabilità non sono semplici beghe di condominio, ma il core business dell’intesa su un programma credibile e alternativo». Da queste parti, insomma, la porta a Renzi rimane chiusa.
Calenda, al momento si tiene fuori: «sui temi siamo divisi ed è per questo che non siamo nel campo largo, che è un gran casino». Anche Magi di +Europa, che invece è sul palco, sottolinea le differenze che ancora restano tra i cinque partiti. Dalla guerra in Ucraina al Jobs Act, passando per il ruolo dell’UE e dell’agenda Draghi. Ma rilancia: «serve un tavolo permanente che costruisca convergenze lavorando sulle differenze».
C’è da dire che nonostante la presidente del Consiglio e la sua maggioranza magnificano i risultati del governo, la ripresa politica è segnata da più di una preoccupante incognita.
Se partiamo dalla legge di bilancio si scopre che per ora la copertura della manovra non supera il 60%, realtà che obbliga ancora una volta a pareggiare i conti aggravando il debito e, con l’introduzione del nuovo Patto di Stabilità, ci sarà da rispettare i relativi vincoli di equilibrio. Per non sforare i limiti di debito il governo si predispone a intervenire sulle pensioni – allungando i tempi di uscita – e a ridurre le risorse per spesa sociale e istruzione. Ridotte all’osso anche le risorse a sostegno degli investimenti infrastrutturali e del sistema produttivo. E tagli onerosi si prospettano per i Comuni. E lo stesso taglio al cuneo fiscale è confermato per il solo 2025, lasciando in pregiudicato quel che accadrà dal 2026 in poi. Si va verso una legge di bilancio ristretta e socialmente iniqua che carica su famiglie, imprese e enti locali l’onere dell’equilibrio dei conti pubblici.
Particolarmente critico è il fronte delle riforme istituzionali. Sulla legge Calderoli sull’autonomia regionale differenziata ben 5 Regioni hanno promosso un referendum abrogativo, e la rapidità con cui sono state raccolte le 500.000 firme dei cittadini per indire il referendum testimoniano di una diffusa contrarietà alla legge Calderoli.
Anche la proposta di premierato, su cui la Meloni si è spesa in prima persona, non ha fin qui ha convinto neanche i suoi alleati di governo.
Tutto questo parla di precarietà istituzionale del Paese, alle quali va aggiunta la vicenda che ha condotto alle dimissioni del ministro Sangiuliano.