Melania Trump rompe definitivamente con i repubblicani per le divergenze sull’aborto

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Le parole scritte sull’aborto nel suo libro di memorie sanciscono la rottura definitiva con i repubblicani, testimoniando quanto i diritti civili siano centrali nella politica.

Come accaduto nel dibattito con Kamala Harris, Trump rischia di perdere colpi sul diritto di aborto. “È fondamentale garantire che le donne abbiano autonomia nel decidere se avere figli, in base alle proprie convinzioni, libere da qualsiasi intervento o pressione da parte del governo”, scrive Melania Trump.

“Perché qualcuno diverso dalla donna stessa dovrebbe avere il potere di determinare cosa fare con il proprio corpo? Il diritto fondamentale di una donna alla libertà individuale, alla propria vita, le garantisce l’autorità di interrompere la gravidanza se lo desidera. Limitare il diritto di una donna a scegliere se interrompere una gravidanza indesiderata equivale a negarle il controllo sul proprio corpo. Ho portato questa convinzione con me per tutta la mia vita adulta”.

L’ex first lady non si è mai esposta politicamente. Il fatto che lo faccia, a un mese dalle elezioni, su uno dei temi più importanti della campagna elettorale non può essere casuale.

Il suo libro uscirà la prossima settimana, ma il Guardian ha già rilasciato qualche anticipazione. E dal tenore delle sue memorie sembra quasi che abbia covato a lungo voglia di allontanarsi da The Donald e dai repubblicani. Già a dicembre 2023, quando il loro matrimonio sembrava giunto al capolinea, l’ex first lady ha parlato di “occasionali disaccordi politici tra me e mio marito” tra cui l’approccio all’immigrazione e, appunto, la tutela dell’aborto.

Cosa ha detto Trump sull’aborto

Il diritto all’aborto è stato uno dei temi più caldi del dibattito televisivo Harris-Trump. Nonché il primo tema su cui il candidato repubblicano è scivolato gravosamente, facendosi richiamare dalla moderatrice. Da sempre, l’aborto rappresenta uno dei terreni di scontro più accesi non solo tra i “rossi” e i “blu” degli Usa, ma tra i conservatori e i progressisti di tutto il mondo.

Donald Trump ha accusato i democratici di voler permettere l’aborto “fino al nono mese” di vita del bambino, ‘costringendo’ la smentita della giornalista di Abc News, Lindsay Davis.

Nel dibattito con Kamala Harris, Donald Trump ha rivendicato come un successo la scelta della Corte Suprema di restituire ai singoli Stati la facoltà di decidere autonomamente le proprie leggi sull’aborto, piuttosto che seguire una normativa federale unificata, capovolgendo la storica sentenza Roe v. Wade. Un punto che ha allargato le divergenze tra Donald e Melania Trump.

Per la vicepresidente Kamala Harris, la dinamica è stata più controversa: “Donald Trump ha scelto personalmente tre membri della Corte Suprema degli Stati Uniti con l’intenzione che avrebbero annullato le protezioni di Roe v. Wade. E hanno fatto esattamente quello che lui intendeva”.

Per la candidata repubblicana le conseguenze per le donne sono state devastanti: “Ora, in più di 20 Stati, ci sono divieti sull’aborto voluti da Trump, che rendono criminale per un medico o un’infermiera fornire assistenza sanitaria. In uno Stato, si prevede l’ergastolo per i medici”.

Harris ha smentito il tycoon anche sui divieti previsti dal suo mandato che “non prevedono eccezioni, nemmeno per stupro o incesto, il che significa che una sopravvissuta a un crimine, una violazione del suo corpo, non ha il diritto di decidere cosa succederà dopo al suo corpo. Questo è immorale. E non è necessario abbandonare la propria fede o le proprie convinzioni profonde per concordare che il governo”.

L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump non dovrebbe poter beneficiare dell’immunità presidenziale nel caso penale per il fallito tentativo di rovesciare i risultati delle elezioni del 2020, in quanto ha “fatto ricorso a crimini” in qualità di soggetto privato e non come presidente.

È questa la tesi presentata dal team del procuratore speciale Jack Smith in un documento legale reso pubblico mercoledì. Il dossier di 165 pagine va contro il parere della Corte Suprema, che con un’attesa sentenza a luglio ha conferito un’ampia immunità agli ex presidenti per gli atti ufficiali compiuti durante il loro mandato, restringendo l’ambito dell’azione penale che accusa Trump di cospirazione.

Il documento riesce a offrire prove e testimonianze inedite, offerte dai più stretti collaboratori di Trump, sugli sforzi dell’ex presidente per rimanere al potere, sebbene già una lunga indagine del Congresso e l’accusa stessa abbiano descritto quanto accaduto nei minimi dettagli.

Lo scopo ultimo di Smith è convincere il giudice distrettuale Tanya Chutkan che i reati imputati dall’accusa sono atti privati, piuttosto che ufficiali, e quindi Trump non dovrebbe avere accesso alla protezione dall’azione penale. Tra questi, gli sforzi per convincere l’ex vicepresidente Mike Pence a rifiutare di certificare il conteggio dei voti elettorali nel pomeriggio del 6 gennaio 2021.

La pubblicazione della mozione è solo l’ultimo importante sviluppo nel lungo sforzo di Smith di perseguire l’ex presidente per le azioni da lui intraprese per rovesciare le elezioni del 2020. Il caso è stato ripetutamente rinviato perché Trump ha cercato in tutti i modi di far slittare l’azione penale a dopo le elezioni del prossimo 5 novembre, nella speranza che possa vincere e far chiedere l’archiviazione da un nuovo procuratore generale.

Spetta ora a Chutkan decidere quali atti di Trump sono da considerare comportamenti ufficiali per i quali è immune da azioni penali e quali sono, nelle parole del team di Smith, “crimini privati” per i quali il caso può procedere.

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