C’è una lingua che non sta scritta nei libri, ma che si capisce senza pensarci troppo. Una lingua che non è né tua né mia, e proprio per questo è di tutti. Dario Fo la sapeva usare per far parlare i suoi giullari, e Stefano Sabelli, in Figli di Abramo, la fa sua per raccontare una storia vecchia come il mondo, ma più viva che mai: la storia di un uomo che è padre di tre fedi e di troppi conflitti.
Sul palco c’è solo lui, un attore, con le parole che gli corrono via dalla bocca e si fanno suono, gesto, ritmo. E dietro di lui, o forse meglio dire dentro, ci stanno i testi sacri: la Torah, il Vangelo, il Corano. Li prende, li legge, li mette uno accanto all’altro e scopre che, in fondo, raccontano la stessa cosa. O forse no, perché ognuno tira l’acqua al suo mulino e la storia di Abramo – o Abraham, o Ibrahim, che dir si voglia – diventa il grande racconto della divisione. Fratelli che si credono nemici, popoli che si guardano in cagnesco, guerre che passano i secoli e restano sempre lì.
Ma non c’è solo la tragedia, perché Sabelli porta con sé l’ironia, quella che fa ridere e pensare insieme. E così, tra un episodio biblico e un aneddoto moderno, ci ritroviamo a Gerusalemme, con un attore che si perde nelle strade e trova una guida palestinese innamorata dei film di Trinità. E mentre il pubblico sorride, si accorge che sta ascoltando qualcosa di grande, di enorme: la storia della fede e del potere, della speranza e della paura, raccontata con la lingua giusta, quella che non sta da nessuna parte e proprio per questo può stare dappertutto.
Le musiche dal vivo fanno il resto: non sono sottofondo, ma voce, respiro, eco di un passato che è ancora qui. Il pubblico ascolta, si lascia prendere, si lascia portare. Alla fine, quando le luci si abbassano e le parole si fermano, resta addosso quella sensazione rara, quella che capita quando il teatro fa il suo mestiere fino in fondo: farti vedere il mondo con occhi nuovi.
E allora, dopo aver ascoltato Sabelli, una domanda resta: e se Abramo, Abràm, Ibrahim fosse davvero la stessa storia per tutti? Forse basterebbe smettere di raccontarla solo pro domo sua e iniziare a raccontarla pro speranza nostra. Oggi ultima replica pomeridiana al Teatro Spazio Diamante di Roma.
Valeria Focarelli