“Anatomia di un’ingiustizia”, libro sul processo all’ex ministro Landolfi

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E’ in libreria ”Anatomia di un’ingiustizia. Il processo a Mario Landolfi’‘ (Guida Editori, pp. 220, 18 euro) del giornalista Luca Maurelli, il racconto del calvario giudiziario di un uomo perbene, di una passione politica stroncata da una giustizia lenta e miope ma anche la denuncia dell’intreccio incestuoso tra politica e magistratura, spesso inconfessabile, reciproco, spesso utilizzato dai due ”poteri” dello Stato per regolare i propri conti con i pm considerati ”avversi”. Nel profondo Sud, costantemente esposto al pregiudizio della contaminazione mafiosa, in una zona della Campania ”bella e impossibile” e da sempre identificata con l’anti-Stato con i suoi clan e con le sue ”terre dei fuochi”, il litorale domizio del Casertano, inizia e si sviluppa la carriera politica – ricostruita nel libro – del giovane Mario Landolfi, della destra campana, che al culmine di una lunga militanza cominciata negli anni Settanta, nel 1994 arriva in Parlamento. È solo l’inizio: Landolfì sarà prima presidente della Commissione di Vigilanza Rai, poi portavoce di Alleanza Nazionale, quindi ministro delle Comunicazioni negli anni ruggenti del berlusconismo e della contrapposizione durissima con la sinistra e con le cosiddette toghe rosse.

Un ”fatterello di paese” innesca un’inchiesta e un processo che dureranno sedici anni e che scorreranno in parallelo alla vicenda giudiziaria di Nicola Cosentino, plenipotenziario di Berlusconi in Campania. Ma mentre quest’ultimo risponde di concorso esterno, a Landolf viene contestato un solo episodio: l’assunzione in una delle aziende legate ai Casalesi della moglie del consigliere dimissionario. Un ”fatterello di paese”, appunto, su cui pende, però, il macigno dell’aggravante mafiosa. A favore dell’ex ministro, che prima rende pubbliche tutte le intercettazioni telefoniche di cui il Parlamento ha negato l’utilizzo e che poi rinuncia alla prescrizione, testimoniano sia l’anti-Stato, attraverso il boss compagno di giochi d’infanzia, Augusto La Torre, sia lo Stato con la ”S” maiuscola, incarnato dal magistrato che per primo aveva sfidato i Casalesi: Raffaele Cantone. È questa singolare convergenza a sollevare Landolfi dal peso del sospetto della collusione con i clan. Ma non a mandarlo del tutto assolto. Per infliggergli i due anni ai giudici basta infatti la testimonianza di un pentito dalla memoria intermittente, definito ”preciso, puntuale e analitico” nonostante le decine di ”non ricordo” pronunciate nelle varie udienze.

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