Il presidente Javier Milei ha annunciato di voler eliminare il femminicidio dal Codice penale del suo Paese. “Elimineremo il concetto di femminicidio dal Codice penale perché questa amministrazione difende l’uguaglianza davanti alla legge sancita dalla nostra Costituzione nazionale” ha scritto il ministro della Giustizia argentino su X in riferimento alla legge attualmente in vigore, la quale prevede un aumento di pena per chi abbia commesso l’omicidio di una donna per motivi di genere e, a detta di Milei, legalizzerebbe il concetto per cui “la vita di una donna vale più di quella di un uomo”.
Come credeva anche Michela Murgia, distinguere tra le forme di brutalità è assolutamente necessario per comprenderle, rovesciarle, guardarle da un’altra prospettiva e, in definitiva, eliminarle. Secondo la definizione del reato (dal vocabolario, perché una definizione giuridica di questa parola, in Italia, non esiste), chiunque elimini, annienti fisicamente o moralmente una donna insieme al suo ruolo sociale, ha commesso un femminicidio. Un delitto con una gravità diversa, perpetrato con l’unica “motivazione” di distruggere una vita perché non conforme al ruolo che un uomo, un partner o un parente (nel 90% dei casi), ha previsto per lei.
Secondo dati delle Nazioni Unite, solo nel 2021 sono stati registrati 45mila casi di femminicidio in tutto il mondo. Nel 2022, il 55% dei delitti femminili è avvenuto tra le mura domestiche, mentre il 12% degli omicidi contro uomini è avvenuto in casa. Più di metà delle donne uccise violentemente nel mondo sono morte per mano di chi avrebbe dovuto amarle. Il femminicidio non discrimina; esiste, semmai, per dare spazio e dimensione ad una dinamica universale che, per quanto onnipresente e terrificante, è spesso resa piccola e digeribile a chi di capire o mettersi in discussione non ne ha mai voluto sapere.
Per cambiare il codice penale, Milei dovrà far approvare la sua nuova legge in un parlamento, ad oggi, estremamente contrario.