Autonomia differenziata e le inesattezze diffuse dall’opposizione

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“Il governo Meloni scassa la Costituzione” affermano dentro e fuori le aule parlamentai dem e grillini diffondendo sull’Autonomia differenziata una caterva di inesattezze. L’Autonomia differenziata trova la sua legittimazione nell’articolo 116 della Costituzione, comma 3, introdotto dalla riforma del Titolo V (del 2001) che prevede un’attribuzione di funzioni alle Regioni che ne fanno richiesta. Tutto questo è tutelato dai Lep, i livelli essenziali delle prestazioni. Il percorso per individuare i Lep è stato tentato da tutti i governi. Tant’è che l’articolo 117 della Costituzione ne prevede la determinazione in capo allo Stato. In ambito sanitario esistono già: sono i Lea, livelli essenziali di assistenza. Peraltro, per i Comuni i Lep esistono per buona parte dei trasferimenti, molto meno per le Regioni.

E’ falso che i Lep acuiscono le distanze tra Regioni più ricche ed altre meno competitive, perché è vero esattamente il contrario. I Lep sono una tutela per le Regioni più svantaggiate perché rappresentano la soglia di spesa minima sotto la quale lo Stato non può andare. Quindi garantiscono che alcune prestazioni, oggi carenti, debbano essere garantite su tutto il territorio nazionale.  Il divario Nord-Sud esiste non certo da oggi con l’approvazione dell’Autonomia. Il divario si è determinato in un regime centralista. Contiamo che avvicinando il decisore al territorio si riducano gli sprechi, si migliori l’efficienza dei servizi e si crei un circolo virtuoso tra classe dirigente ed elettori. Il finanziamento avviene mediante la compartecipazione ai contributi erariali, previsto dalla legge. È così che si finanzialo le funzioni Lep per le regioni che ne facciano richiesta.

Nel Partito democratico c’è chi ha letto la Costituzione e chi non l’ha letta. Chi l’ha letta sa che la Costituzione difende le autonomie locali. L’articolo 5 della Costituzione afferma: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. Questo chiude le opposizioni che alimentano  inutili e strumentali polemiche.

L’Autonomia differenziata rappresenta un’assunzione di responsabilità. La Camera ha approvato in via definitiva il disegno di legge sull’autonomia differenziata, che prevede la concessione di maggiori poteri e prerogative alle regioni su materie finora gestite principalmente dallo Stato centrale. Il voto ha approvato il provvedimento con 172 voti favorevoli, contro i 99 delle opposizioni.

Il percorso del disegno di legge  è stato completato ma  ci vorrà  molto tempo prima che venga effettivamente attuato, ovvero dopo  che alle regioni possano davvero essere attribuiti i poteri aggiuntivi previsti, al termine di lunghi e complessi negoziati col governo e col parlamento. È lo stesso disegno di legge, infatti, a stabilire che prima di avviare le procedure per devolvere maggiori competenze alle regioni debbano essere definiti i Livelli essenziali delle prestazioni (LEP), i servizi economici e sociali che lo Stato deve garantire su tutto il territorio nazionale in alcuni settori fondamentali. Il tutto, poi, tenendo in considerazione le specificità dei vari territori, e dunque prevedendo che ci debbano essere delle diverse attuazioni dei LEP a seconda che si parli di un piccolo borgo dell’appennino molisano o di una grande città della Lombardia. Ciò serve a garantire che l’attribuzione di ulteriori funzioni a certe regioni non generi o aumenti squilibri e divergenze tra le aree più sviluppate e quelle più arretrate del paese.

Il Ddl Calderoli  è divenuto legge dello Stato, ora toccherà al Presidente Mattarella promulgarla e autorizzarne la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Ciò ovviamente a seguito di un attento esame – che il sempre scrupoloso Capo dello Stato avrà già compiuto facendo ricorso anche ai suoi saperi accademici – inteso a ritenere il testo approvato non apertamente in contrasto con la Costituzione.

La “legge Calderoli” di fatto scandisce la procedura che le Regioni, interessate ad acquisire una competenza legislativa differenziata per una durata massimo di dieci anni, dovranno seguire per perfezionare la prevista Intesa con il Governo, quello che sarà in carica. Al riguardo, quanto disposto nella legge – tenuto conto delle conclusioni cui è pervenuto il Clep sul tema dell’assistenza sociosanitaria nell’autunno scorso – mette in seria difficoltà il completamento del percorso del regionalismo differenziato in materia di tutela della salute. Ciò in quanto dai lavori del Comitato presieduto da Sabino Cassese sembrano essere stati confermati, nella loro definizione sostanziale, i Lea perfezionati con il Dpcm del 12 gennaio 2017. Ragione per cui, a stretto rigore di logica, sarebbe sufficiente che l’insieme Cabina di regia/istituita Commissione tecnica dei fabbisogni standard (commi 792/793 della Legge 197/2022) associassero a ciascuno di essi (Lea) il rispettivo costo standard che individuasse il fabbisogno standard per ogni Regione destinataria. Ciò prescindendo se istante della maggiore competenza legislativa (differenziata).

Gli emendamenti di due senatori di Fratelli d’Italia, Andrea De Priamo e Alberto Balboni, hanno introdotto modifiche significative al provvedimento durante la sua discussione al Senato, nel gennaio scorso. Da un lato, questi emendamenti hanno stabilito che il processo legislativo necessario per definire le intese tra governo e regioni sulla concessione dell’autonomia non avvengano tramite semplici decreti del presidente del Consiglio (DPCM), ma tramite decreti legislativi: strumenti normativi che richiedono un percorso di approvazione più lungo e complesso. Dall’altro, De Priamo e Balboni hanno aggiunto al testo originario di Calderoli alcuni passaggi che ribadiscono come l’attuazione dei LEP debba avvenire su tutto il territorio nazionale e che la definizione delle intese con le singole regioni non debba compromettere la proporzionalità delle spese destinate alle altre regioni. Sono previsti per questo strumenti che garantiscono una sorta di compensazione per le regioni con minore capacità fiscale per abitante, cioè quelle più arretrate.

Al di là dell’aspetto tecnico, le modifiche apportate al testo durante l’esame del Senato per volere di Fratelli d’Italia sono rilevanti non perché stravolgono il senso del provvedimento, ma perché rendono ancor più rigido e proibitivo il processo che dovrebbe portare all’effettiva attribuzione di ulteriori competenze alle regioni. Lo stesso vale anche sul piano finanziario.

È stato stabilito che, qualora la determinazione dei LEP comporti maggiori spese per lo Stato, si può procedere al trasferimento delle funzioni solo dopo che siano entrate in vigore le norme necessarie a finanziare interventi per «assicurare i medesimi livelli essenziali delle prestazioni sull’intero territorio nazionale». Significa dunque che prima si dovranno stanziare i soldi per migliorare gli standard pubblici nelle aree più disagiate del paese, e dopo si potranno accogliere le richieste delle regioni che reclamano maggiore autonomia.

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