Autonomia: le dimissioni di Bonaccini fanno perdere il quorum alle Regioni per il referendum popolare

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«È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali». Le cinque Regioni di centrosinistra ( Sardegna, Toscana, Campania, Puglia ed Emilia-Romagna) – accanto alla possibilità di un ricorso alla Corte costituzionale contro la legge sull’autonomia differenziata approvata dalla maggioranza di centrodestra a cui manca la firma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per entrare in vigore – contano di intraprendere la strada referendaria indicata dall’articolo 75 della Costituzione per cancellare. Una delle Regioni, l’Emilia-Romagna, è però guidata da Stefano Bonaccini che è stato eletto al Parlamento europeo e che in settimana  annuncerà le proprie dimissioni al Consiglio regionale.

Le dimissioni saranno firmate e diventeranno effettive attorno al 10 luglio, prima dell’insediamento dell’Europarlamento previsto per il 16 luglio. Da quel momento la legislatura regionale sarà di fatto finita, la vicepresidente Irene Priolo sarà facente funzione fino all’elezione del nuovo presidente e il consiglio resterà in carica solo per l’ordinaria amministrazione. Fino all’insediamento della nuova legislatura, con le elezioni che potrebbero tenersi a novembre, il consiglio regionale non potrà quindi promuovere o adottare atti formali, come la richiesta di un referendum abrogativo per la legge sull’autonomia differenziata. Fino a fine anno rimarrà quindi in sospeso la via referendaria dei consigli regionali.

I gruppi di maggioranza del consiglio regionale stanno lavorando a una risoluzione, che sarà presentata in settimana, che schiera la Regione Emilia-Romagna contro l’autonomia differenziata e sostiene ogni iniziativa per contrastarla. Se venisse approvato si tratterebbe comunque di un atto dal valore politico, ma non formale, come la Costituzione prevede, per la richiesta di un referendum.

Lo stesso governatore Pd, Bonaccini, allora con al suo fianco, come vice, l’attuale leader del Pd, Elly Schlein, scriveva: «L’autonomia differenziata è una opportunità prevista dalla nostra Costituzione che noi vogliamo cogliere. Abbiamo avvertito bene il rigurgito centralista in questi anni, anche nel mio partito, soprattutto da quella parte della politica che si è misurata poco con i problemi concreti della pandemia». Da allora sono passati poco più di due anni. Ma non è forse il tempo a far cambiare le idee a Bonaccini, ma probabilmente i governi, perché dall’aprile del 2022 a oggi siamo passati dagli esecutivi Draghi a Meloni. Considerazione avallata da ulteriori affermazioni da parte del dirigente Pd, Bonaccini, che nel novembre del 2018, allora sempre presidente dell’Emilia-Romagna, addirittura assieme ai governatori leghisti della Lombardia e del Veneto, rispettivamente Attilio Fontana e Luca Zaia, scriveva una lettera indirizzata all’allora premier, Giuseppe Conte, con la quale si richiedevano tempi certi per i disegni di legge sull’Autonomia. Nella missiva, i tre governatori enfatizzano l’importanza del percorso intrapreso, definendolo «un’opportunità importantissima non solo per i rispettivi territori, ma per l’intero Paese». La logica sottostante è quella di «riordinare e semplificare il funzionamento delle istituzioni, ammodernare il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione, ridurre i tempi di risposta alle esigenze delle imprese e contenere gli oneri di funzionamento della macchina pubblica», scrivevano i tre governatori in una nota congiunta.

Bonaccini ha fatto da capofila alle regioni del nord per ottenere l’Autonomia differenziata. Cosa,  oggi smentita: «È un’Autonomia sbagliata, questi parlano di residui fiscali e i residui fiscali sono l’anticamera di un secessionismo di fatto».

Vincenzo De Luca, governatore della Campania, si era espresso a favore dell’autonomia differenziata, scrivendo una lettera ai colleghi nel 2017, esprimendo il suo sostegno alla riforma.

Il governatore cinque anni fa inviò ai colleghi una lettera nella quale si sarebbe schierato a favore della riforma, chiedendo solo di salvaguardare l’unità nazionale. A tal proposito il governatore veneto Luca Zaia ha dichiarato: “È stato lo stesso De Luca, nel 2019, ad aver chiesto l’Autonomia. Stiamo parlando di un qualcosa che è previsto dalla Costituzione, una sorta di abito su misura da cucire in base alle esigenze di chi lo deve indossare”.

“Accantoniamo i diversi punti di vista – aveva detto De Luca nel 2022 -. Diamo tempo al Parlamento e al Mef di valutare e approfondire tutti gli aspetti legati all’autonomia differenziata. Ma non sprechiamo un’occasione preziosa: definiamo una piattaforma unitaria che impegni tutti quanti noi sull’obiettivo di una sburocratizzazione radicale. Cerchiamo di acquisire da subito obiettivi estremamente importanti di decentramento e di sburocratizzazione in modo da modernizzare il Paese e le istituzioni. Vi sono decine di pareri legati ai ministeri e allo Stato centrale che possono essere o cancellati o rapidamente trasferiti a livello regionale”. Una posizione sicuramente più morbida rispetto a quella attuale. Commentando la riforma di oggi, infatti, il governatore l’ha definita come “una scelta grave che spacca il Paese”.

La stessa Schlein ha dichiarato chiaramente l’opposizione del Partito Democratico all’Autonomia differenziata. E questo perché ha l’impronta del governo Meloni?

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